La forca mediatica per Pittelli
Presa Diretta, furia dei penalisti contro la Rai: andata in onda gogna in prima serata
La giustizia-spettacolo punta all’Oscar con la messa in onda su RaiTre, a Presa Diretta, di una cronaca del Maxi processo alla ‘ndrangheta che va in scena senza contraddittorio, mettendo all’indice gli imputati e concentrando l’occhio di bue sull’unico protagonista sul palco, il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. La trasmissione condotta da Riccardo Iacona va in fascia serale, lunedì 15, e viene seguita da un milione e quattrocentosedici mila spettatori per lo più digiuni di quanto avvenuto nel tempo.
Nessuno avverte che degli oltre trecento attinti dall’inchiesta, 140 persone sono uscite dal procedimento già ai suoi esordi. Peccato, era già un dato di realtà da raccontare. Iacona preferisce invece condire le ricostruzioni dell’accusa con ipotesi romanzesche e guarnisce il piatto con il prezzemolo, sempre presente, della massoneria deviata. Un piatto indigeribile, ma che i più ingoiano senza obiettare. Alla denuncia su queste pagine di Tiziana Maiolo e alla lettera aperta con cui Piero Sansonetti chiedeva un intervento a Marcello Foa, presidente Rai, segue un imbarazzato e imbarazzante silenzio. Li abbiamo sollecitati tutti a dare un segnale di esistenza in vita, ma invano. Foa, ci viene detto, non è raggiungibile. Il direttore di RaiTre, Franco Di Mare, risponde di non essere al lavoro, motivi personali. Anche il direttore della comunicazione Rai, Marcello Giannotti, ci fa sapere di “essere out per qualche giorno”. Insomma non c’è nessuno, a viale Mazzini. E forse questo offre una prima spiegazione alle nostre domande sulle responsabilità di certi contenuti. Sulle opportune verifiche e sulle modalità espositive di accusa e difesa. Entra nel merito l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente Unione Camere Penali.
«Facciamo trasmissioni e parliamo di indagini come fossero già l’accertamento della verità. Questo è un Paese affetto da un analfabetismo costituzionale devastante, che confonde il pm con il giudice e l’arresto preventivo con la sentenza definitiva di condanna. Nella trasmissione come quella che ha fatto Iacona lunedì, è stato usato a piacimento il materiale investigativo, i filmati, le intercettazioni, senza contraddittorio, in relazione a un processo penale che non è ancora nemmeno cominciato. È una vergogna, è uno scandalo ed è la cifra del giornalismo italiano». Chiamato in causa, Iacona – che ha parlato con AdnKronos – risponde a Caiazza: «Io non ho fatto un processo in tv, il processo si fa nell’aula bunker di Lamezia Terme e non era l’oggetto della mia inchiesta. L’oggetto della mia inchiesta era l’indagine Rinascita Scott. E le riprese sono cominciate prima ancora che iniziasse la prima udienza a Lamezia Terme. Non è che noi facciamo cronaca processuale. Invece è importante che i giornalisti tornino a parlare di queste cose». Ma la frittata è fatta e la politica se n’è accorta.
Il Presidente della Commissione di vigilanza Rai, senatore Alberto Barachini, Forza Italia, parla con Il Riformista: «Ho grande rispetto per il lavoro dei giornalisti di inchiesta e per Riccardo Iacona che stimo personalmente. Ritengo non sia mai opportuno esasperare i toni giustizialisti nell’informazione, soprattutto su procedimenti ancora in corso, per garantire in primo luogo il lavoro dei magistrati. Il principio del contraddittorio, nelle vicende giudiziarie, è fondamentale, insieme alle accuse deve sempre essere rappresentata anche la posizione dell’imputato. È un pilastro della cultura giuridica e deve essere un caposaldo dell’informazione di pubblico servizio». Membro attivo della Commissione di vigilanza è il deputato di Italia Viva, Michele Anzaldi: «Se applichiamo la legge alla lettera, l’elemento di garanzia è Foa, proprio perché eletto con i 2/3. Ma oggi non c’è un garante, su queste cose. Non fa il garante il Presidente Rai, non lo fa l’Ordine dei giornalisti. Non lo fa l’Fnsi. Non lo fa l’AgCom. Dico che non dobbiamo prendercela con il magistrato». Ed è un punto.
Nel merito, Anzaldi precisa: «I processi non si fanno in televisione, si fanno in tribunale. Se anche vuoi dibatterne, perché di ‘ndrangheta va sempre bene parlare, devi farlo con la controparte. A me sembra grave che la faccia solo Il Riformista questa osservazione. Dovreste chiedere e non solo alla Rai ma ad AgCom, Fnsi, Usigrai, Odg di unirsi a questa attività di vigilanza, posto che ci sono organismi pagati apposta per vigilare». E dunque adesso, «acclarato che queste trasmissioni vanno monitorate perché non vadano a ledere i diritti di nessuno, ci vuole una riparazione, un approfondimento e le garanzie che non accada mai più». Alza la voce anche l’ex deputato Amedeo Laboccetta, oggi presidente di Polo Sud: «La Rai con una trasmissione assolutamente indecente relativa al processo Rinascita Scott ha tentato di massacrare un innocente: l’avvocato Giancarlo Pittelli di Catanzaro. Le istituzioni hanno l’obbligo di intervenire. In uno stato di diritto quel che ha fatto la tv di Stato non può passare sotto silenzio. Questo sistema mediatico giudiziario va fermato. Ha già prodotto giganteschi disastri. Pittelli è innocente».
Arriva anche una nota dell’Unione dei penalisti: è inconcepibile immaginare che sia legittimo confezionare e mandare in onda una trasmissione così partigiana e unilaterale, mostrando atti ed elementi di prova ancora ignoti al Collegio giudicante, mentre è appena iniziato il processo che dovrà esattamente giudicare la fondatezza della indagine, e le responsabilità personali degli imputati. Solo una sottocultura populista e giustizialista marchiata da un autentico analfabetismo costituzionale può relegare il processo penale, cioè l’unico luogo che il nostro sistema penale riconosce come legittimato alla ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, a un evento secondario ed immeritevole di attenzione, cui affidare il compito solo di soddisfare le aspettative di condanna alimentate da una indagine che ha già adempiuto al compito di ricostruire la Verità.
La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane rimarca la singolare coincidenza di una pagina così scandalosa del giornalismo del servizio pubblico italiano con il severo monito appena pronunziato dalla ministra Cartabia sulla indifferibile necessità di riposizionare la presunzione di innocenza al centro del sistema penale e della sua rappresentazione mediatica; ed auspica che ciò possa costituire la occasione di una profonda, seria presa di coscienza, da parte della Politica e delle Istituzioni, circa la necessità della adozione di iniziative e misure idonee a prevenire il ripetersi di simili episodi di malcostume». Arriva in serata la difesa d’ufficio, per bocca del membro del Cda Rai eletto in quota Dipendenti, Riccardo Laganà: «Nell’ultima puntata di Presa Diretta sul processo alla ‘ndrangheta, Riccardo Iacona e i suoi bravissimi colleghi hanno regalato agli utenti un’autentica pagina di vero giornalismo e servizio pubblico televisivo, ponendo il giusto accento su una vicenda giudiziaria che ha pochi eguali nella storia di questo Paese e che in molti hanno evidentemente interesse a tenere celata nell’aula bunker dove il processo sarà chiamato a svolgersi».
La Commissione di Vigilanza Rai, d’altronde, è alle prese con la grana del rinnovo dei vertici, tema incandescente che potrebbe non tardare ad arrivare sul tavolo di Mario Draghi. La Commissione di vigilanza riunita ieri ha visto volare gli stracci, da parte di qualcuno si è invocato l’intervento, dalla prossima convocazione, dei Presidenti di Camera e Senato. Con la riforma del 2015, quattro membri del CdA sono nominati da Camera e Senato, due dal governo (tramite il Ministro del Tesoro quale azionista), e uno dall’assemblea dei dipendenti: in un contesto prossimo al ricambio, la tempesta di Presa Diretta proprio non ci voleva. Entro tre mesi vanno ridiscussi i palinsesti per l’anno prossimo, che includono budget, promozioni e assegnazioni di personale. Dagli uffici dietro al celebre Cavallo filtra una voce: non è escluso che il Presidente Foa prenda l’iniziativa, riguardi il filmato di Iacona e si attivi. «Il suo metodo è quello di sentire tutti e verificare i fatti», ci viene detto. È il metodo che dovrebbero avere tutti, soprattutto nel servizio pubblico.
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