Il dibattito in corso sulla prescrizione nasce con un difetto di fondo, ovvero la ghigliottina di Capodanno. Un termine che era stato individuato dalla vecchia maggioranza con l’approvazione della legge cosiddetta “spazza corrotti”. All’epoca si disse che si introduceva questo lasso di tempo in attesa di un intervento strutturale sul processo penale che però non è stato ancora realizzato. Qual è dunque la ragione per rendere immediatamente esecutiva oggi la norma? Va detto che i provvedimenti concordati dalla passata maggioranza poggiavano su una logica pattizia mentre invece l’attuale maggioranza di governo è nata scegliendo il metodo della sintesi politica sui punti programmatici. Da qui nasce la discussione in corso ormai da mesi e su cui, per non essere omissivi, bisogna dire che il Pd, senza prefigurare scenari apocalittici, semplicemente si oppone al fatto che entri in vigore questa riforma così com’è.
Quindi si può, e su questo c’è evidentemente un lavoro in corso, arrivare a un accordo. È noto che la ragionevole durata del processo è prevista dalla nostra Costituzione a garanzia tanto dell’imputato quanto della parte offesa. Questo richiamo costituzionale così come il sistema in cui si inserisce, ovvero quello dell’obbligatorietà dell’azione penale e la necessità di motivare i provvedimenti che incidono sulla libertà della persona, stanno a significare che la disciplina e la ratio dell’istituto della prescrizione poggiano su un delicato equilibrio, quello della certezza delle decisioni e quello del diritto a ottenere giustizia in tempi ragionevoli. Evidentemente si tratta di un interesse generale. Tanto più che una riforma della prescrizione era già stata portata a termine nella scorsa legislatura all’interno di una serie di interventi sulla riforma del processo penale (legge n. 103/2017, conosciuta come “riforma Orlando”), che aveva tra i suoi obiettivi limitare proprio l’estinzione dei reati per prescrizione. La riforma, per il sacrosanto principio della non retroattività, si applica però ai soli fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge e per questo motivo ad oggi non se ne possono ancora verificare pienamente gli effetti. Sovrapporre nuove normative a leggi di cui ancora deve essere stimato il risultato rischia di essere un tentativo al buio. Ciò vale con particolare riferimento ai reati di corruzione sotto il cui titolo è nato l’intervento che sospenderebbe sine die la prescrizione dopo la sentenza di primo grado; invero è doveroso ricordare che il combinato disposto tra aumento della pena e modifica del regime della prescrizione della riforma del 2017, porta i termini oltre i 20 anni per i fatti più gravi.
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Occorre precisare che quando ci si appella ai criteri della ragionevolezza, dell’equilibrio tra i diversi principi ed esigenze, non è certo per una sorta di cedevolezza o timidezza. Al contrario è per affermare e difendere un’autorevolezza e una credibilità dell’intervento dello Stato nel rapporto con i cittadini che non può essere messo a rischio da mosse non ponderate e incoerenti tra loro. È possibile discutere di giustizia e trovare una sintesi pur partendo da diverse impostazioni? Penso di sì, se si mettono da parte tentazioni demagogiche e preconcetti. Non siamo di fronte a una rappresentazione della contrapposizione tra chi oggi si rassegnerebbe alla prescrizione e chi la combatterebbe. E su questo punto voglio assumere le parole di Gustavo Zagrebelsky quando afferma che «lo spirito democratico è (invece) quello in cui convinzioni e conseguenze formano il campo di tensione che determina la norma dell’agire responsabile». In tema di prescrizione occorrerebbe intanto concordare sul fatto che non si può attribuire a questo istituto la funzione di accelerare i processi, mentre una sua articolazione errata o fuori sistema, può persino minare la funzione stessa della giurisdizione. È vero invece che la disciplina della prescrizione non può prescindere da quanto in concreto un processo impiega a concludersi. Ciò è confermato dagli ordinamenti che sospendono il decorso della prescrizione dopo la prima fase del processo: sono tutte realtà nelle quali i tempi sono certi e più brevi dei nostri e con diverse regole ordinamentali. Da dove ripartire dunque? Magari da ciò che sono certa sia condiviso, ovvero che la priorità è agire direttamente sulla riduzione dei tempi del processo. Alcuni interventi sono stati realizzati, probabilmente non ancora sufficienti o concretamente misurabili, considerato il poco tempo trascorso dall’entrata in vigore. Sarebbe auspicabile quindi partire dalla diretta e non aggirabile questione della riduzione dei tempi con, ad esempio, la differenziazione delle soluzioni procedurali in base alle diverse domande di giustizia. Sono sicura che un intervento di questo tipo sarebbe pienamente comprensibile e apprezzato dai cittadini, per i quali la vera priorità è avere risposte in tempi ragionevoli alla legittima richiesta di giustizia.