La vicenda della prescrizione – cioè del blocco della prescrizione – si sta un po’ aggrovigliando. Il partito dei Pm, guidato da Travaglio e Davigo, era sicuro di aver condotto in porto l’operazione e di avere sconfitto, con la forza di fuoco dell’informazione (che largamente controlla) e con la sua rappresentanza parlamentare, le poche resistenze, quasi tutte raccolte attorno alle Camere penali.
E invece il fine settimana ha complicato le cose. Si è frapposto Matteo Renzi, che è sempre una presenza fastidiosa, ma soprattutto ci si è messa di mezzo l’inaugurazione dell’anno giudiziario, che doveva essere il momento del trionfo del PPM (partito dei Pm) e invece è stato il tonfo.
Il PPM in molte sedi l’ha fatta da padrone. A Palermo è riuscito addirittura a far parlare due dei suoi esponenti più prestigiosi (Scarpinato e Di Matteo). Ma ha preso due schiaffi dolorosi a Roma e a Milano, che sono città importanti, e subito dopo ha visto aprirsi la partita politica con l’impuntatura di Renzi.
Di Roma vi abbiamo già riferito sul Riformista di sabato. Gli interventi di Mammone e Salvi sono stati due frustate. Il giornale del PPM (cioè Il Fatto Quotidiano), furioso, non ne ha nemmeno riferito in prima pagina. La redazione è rimasta basita di fronte a qualcosa di così imprevedibile: il Procuratore generale e il Primo Presidente della Corte di Cassazione che fanno a pezzettini piccoli tutte le teorie generali del giustizialismo, dalla non-prescrizione come soluzione dei mali della società, fino al diritto al protagonismo dei Pm, considerato dai travaglisti indispensabile a un buon controllo dell’Ordine e della Legalità.
Come può succedere? Può succedere perché l’Italia è un paese tosto: non solo riesce a isolare il coronavirus prima di tanti altri paesi, ma – seppur nel dilagare del giustizialismo – tiene ferma, in alcune menti, anche molto altolocate, l’idea che lo Stato di Diritto è più importante persino di Gratteri e di Travaglio.
E tuttavia la sorpresa maggiore è arrivata il giorno dopo da Milano. Doveva essere il Davigo Day. Piercamillo Davigo, cioè il numero 2 del PPM, secondo per importanza solo al generale Travaglio, era riuscito a farsi mandare dal Csm a rappresentare lo Stato all’inaugurazione dell’anno giudiziario di Milano, la città di Mani Pulite, di Borrelli di Bocassini. Ed era riuscito a respingere la controffensiva dei penalisti che avevano chiesto al Csm di rinunciare alla evidente provocazione. Ed ora si preparava a un gran discorso, in toga ghingheri e piattini, nella sede più solenne possibile e immaginabile. E invece cosa succede? Prima di tutto succede che il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso prende la parola e, invece di usare giri di parole per esprimere il suo pensiero, dice chiaro chiaro: l’abolizione della prescrizione viola l’articolo 111 della Costituzione, quello sul giusto processo. E la presidente della Corte d’Appello Marina Tavassi, con più cautele, dice qualcosa di molto simile.
Capite che mazzata? E Alfonso pronuncia queste parole davanti al povero Bonafede, cioè al ministro – per capirci – che probabilmente di tutta questa storia sa pochissimo, però ci è finito in mezzo e ora non sa proprio come uscirne.
E Davigo? Resta lì a bocca aperta, e quando poi gli danno la parola si accorge che mezza sala si alza in piedi, agita dei cartelli con scritti su alcuni articoli della Costituzione, volta le spalle ed esce dalla sala. Facendo anche rumore. Sono gli avvocati, che lui ha sempre considerato, sostanzialmente, imputati di serie B. E così la giornata che doveva essere del suo trionfo diventa la giornata nera nera della sua crociata.
Intanto ci sono anche le novità politiche. Con Renzi che avverte che lui il processo eterno non lo avalla. E la possibilità di non avere la maggioranza in Senato.
E ora?
L’avanguardia del PPM, e cioè Travaglio in persona, si scatena sul Fatto. Scrive un articolo contro i penalisti e lo intitola, rabbiosissimamente, “le camere penose”. In questo articolo spiega che non c’è niente da fare, perché gli avvocati penalisti sono una lobby, e hanno un potere sterminato, e dominano in Parlamento e impongono le loro leggi.
Gliel’avrà detto Davigo?
Non so. Però se volete vi elenco le nove principali richieste al Parlamento del fronte garantista (minuscolo fronte sostenuto dagli avvocati) e le sei richieste del fronte travaglista e dei magistrati (cioè: del partito dei Pm).
Avvocati. 1). Separazione delle carriere tra Pm e giudici. 2) Fine dell’obbligatorietà dell’azione penale. 3) Piena responsabilità civile per i magistrati come per gli altri professionisti. 4) Riduzione della custodia cautelare. 5) Riforma carceraria. 6) Depenalizzazione dei reati minori. 7) Riforma delle intercettazioni. 8) Abolizione o riduzione del 41 bis, cioè del carcere duro, per via della sua evidente incostituzionalità. 9) Fine del doppio binario processuale e delle varie misure di emergenza.
Di queste richieste, che giacciono da anni, ne sono state approvate zero. Numero zero.
Le richieste fondamentali dei magistrati sono solo sei. 1) Abolizione o riduzione della prescrizione. 2) Sospensione della riforma carceraria varata dal governo Gentiloni. 3) Abolizione della impossibilità di riformare in peggio le sentenze di appello. 4) Legge spazzacorrotti che equipari le tangenti agli omicidi di mafia. 5) Aumento della possibilità di usare i Trojan (cioè il meccanismo di spionaggio a casa tipo Rdt) specialmente per i politici. 6) Legge Severino per tagliare le gambe ai politici anche se condannati solo in primo grado.
Di queste sei richieste ne sono state accettate cinque. La riforma del processo di appello, con peggioramento delle garanzie per gli imputati, ancora è ferma. I magistrati sono abbastanza indignati del fatto che se chiedono sei cose ne vengano accettate sul tamburo solo cinque. E ora sono addirittura sbalorditi di fronte alla possibilità che salti o sia rinviato ancora il blocco della prescrizione. Per questo parlano di lobby degli avvocati. Con una ammirabilissima faccia di bronzo.