Presidenziali Francia 2022, chi è favorito tra Macron e Le Pen

Quando, preceduti dal conto alla rovescia corale tipico di capodanno, alle 20 di domenica sera sono stati resi noti i risultati degli exit poll, nel quartier generale del presidente uscente Emmanuel Macron il sospiro di sollievo è stato unanime. I sondaggi sauvages dell’ultimo minuto, mai davvero affidabili, avevano diffuso il terrore di un sorpasso, con la la sfidante Marine Le Pen in testa. Il presidente è invece primo e con uno scarto non enorme ma neppure insignificante: ieri, col 97% delle schede scrutinate, era attestato al 27,6% contro il 23,4% della leader di Rassemblement National. Un risultato molto vicino a quello profetizzato dagli ultimi sondaggi reali, che prevedevano uno stacco di 5 punti, 28 contro 23%.

Gli stessi sondaggi sono invece stati clamorosamente smentiti dall’affermazione della formazione della sinistra radicale France Insoumise: Jen-Luc Mélenchon, con il 21,9%, è andato a un passo dal soffiare il ballottaggio a Marine Le Pen e ce l’avrebbe fatta senza la proverbiale frammentazione della sinistra. I comunisti sono arrivati al 2,3%. Due formazioni minori, sommate, all’1,4%. Come sempre capita in questi casi, la grande paura seguita dal sollievo per la minaccia scampata rischia di spingere Macron ad abbassare la guardia e a dare per vinta una partita che invece ancora non lo è affatto, anche se i bookmakers sono unanimi nell’assegnare all’inquilino dell’Eliseo le maggiori chances di vittoria. Rispetto al 2017 Macron sembra uscire dal primo turno in posizione più forte: allora si era infatti fermato al 24%, ben 4 punti al di sotto del risultato attuale. Anche Le Pen, rispetto al 21,3% delle elezioni precedenti, ha migliorato il risultato ma di poco. Il dato però è rassicurante solo in apparenza. Nel 2017 il bacino dei due partiti storici decisi ad appoggiare comunque Macron al ballottaggio, i Repubblicani e i Socialisti, era ancora ricco: rispettivamente 20 e 6,3%.

Ora invece le due forze storiche della Quinta Repubblica sono già state salassate. I Repubblicani di Valerie Pécresse sono crollati al 4,8%, i Socialisti guidati dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo hanno superato di misura il 2%. Entrambe le leader hanno dato indicazione di votare per Macron ma gli esperti ritengono che circa un terzo degli elettori della Pécresse non seguirà l’indicazione. La situazione di Le Pen è opposta. Nel 2017, infatti, sul fronte della destra populista e radicale non aveva rivali. Domenica ha ceduto all’ancora più estremo Eric Zemmour il 7%. Voti in libera uscita che rientreranno al ballottaggio. Domenica 24 aprile, nella sfida finale, Macron potrà contare certamente sui Verdi, fermi al 4,6% ma per farcela ha comunque bisogno dell’elettorato di Mélenchon. Il leader trotzkista ha esortato a non concedere “nemmeno un voto” a Marine Le Pen, senza però sostenere l’avversario. Secondo i sondaggisti, un terzo dei suoi elettori potrebbe invece optare per la candidata di destra e la scelta degli altri due terzi è incerta tra appoggio a Macron o astensione, perché una delle vere incognite di queste elezioni è l’impopolarità del presidente, arrivata a un picco mai raggiunto da nessuno dei suoi predecessori, tale da fare dello slogan “Tous sauf lui”, chiunque tranne lui, una delle principali minacce per la sua rielezione.

Macron, convinto di aver comunque la rielezione già in tasca, ha poi fatto il possibile per allontanare ulteriormente l’elettorato di sinistra: ha proposto di alzare a 65 anni l’età pensionabile, mentre Le Pen vuole abbassarla a 60 anni, vuole alzare e anche di parecchio le tasse universitarie, ipotizza il lavoro gratuito per chi gode dell’assistenza pubblica a livello minimo. Nelle prossime due settimane Macron dovrà decidere se e cosa concedere a sinistra e dovrà farlo con qualche credibilità, impresa non facile data la diffidenza che lo circonda. Nella campagna elettorale, e soprattutto nel confronto diretto in tv previsto per il 20 aprile, cercherà poi di spostare l’asse dello scontro sul piano dell’europeismo e forse anche della guerra, che sin qui si è appena affacciata nella campagna elettorale. Le Pen ha rinunciato all’idea dell’uscita dall’euro ma le sue posizioni restano essenzialmente anti Unione ed è apertamente vicina a Putin. Macron, che trionfò nel 2017 anche grazie alla vittoria nettissima nella sfida televisiva, cercherà quindi di inchiodare l’avversaria sfruttando i due punti critici.

Qui però si inserisce la seconda incognita del voto francese: il peso della guerra che, tenuta sin qui fuori dalla porta come argomento esplicito, è però rientrata dalla finestra sotto forma di paura per l’erosione del potere d’acquisto di salari e stipendi, cruccio principale dei francesi in questa fase. Che la preoccupazione per le conseguenze della guerra e delle sanzioni soprattutto sul fronte dell’inflazione, quello dell’energia e delle bollette essendo molto meno critico che da noi grazie al nucleare, pesino e abbiano pesato è attestato proprio dai sondaggi. Un mese fa il vantaggio di Macron al primo turno era stimato intorno ai 18 punti, scesi poi effettivamente a 4, e vicino ai 22 punti per il ballottaggio, intorno ai 5-6 punti ora. La guerra e la crisi non hanno determinato ma hanno in compenso approfondito e acuito la pura e semplice paura dell’impoverimento, che si è poi tradotta in calo dei consensi per un presidente già poco popolare.

A favore del presidente uscente giocherà invece probabilmente l’età dell’elettorato di Mélenchon, in assoluto il più giovane tra quello dei vari partiti e quindi il meno tentato dal conservatorismo di Marine Le Pen. Quanto questi elementi diversi e contraddittori peseranno sulla scelta dei francesi, che se andasse a favore della leader del Ressemblement avrebbe effetti esplosivi sull’intera Unione, lo si saprà solo tra due settimane. Ma sul piano politico di più lungo respiro il segnale delle urne francesi è già evidente: i partiti tradizionali sono di fatto scomparsi, le forze antisistema sommate sono ben oltre il 50%. In un quadro simile un’eventuale e forse probabile crisi economico-sociale di grandi o enormi dimensioni innescherebbe processi dall’esito del tutto imprevedibile.