Prescrizione? Un guaio per vittime e imputati
Processi lumaca, avvocati rassegnati: 20 anni per una sentenza uccidono la giustizia
«I fatti sono del 2004, vale a dire 17 anni orsono. Poi ci sono i termini per scrivere il ricorso, il suo deposito, la fissazione in Cassazione. In pratica, se tutto va bene, forse in vent’anni ce la si fa», osserva l’avvocato Gennaro de Falco commentando i tempi di un processo che si è da poco concluso in secondo grado. Ed è di questi giorni anche la sentenza in Cassazione che ha definito con la prescrizione un caso di stalking risalente a più di dieci anni fa.
«Purtroppo i tempi della giustizia sono questi», commenta il penalista. Alle spalle ha anni e anni di esperienza, il fatto che due processi tra quelli che segue come difensore siano stati segnati da lungaggini giudiziarie non lo sorprende più di tanto. Chi lavora nel mondo della giustizia a Napoli sa bene che i tempi sono dilatati e può accadere anche frequentemente che una sentenza giunga quando ormai le vite dei protagonisti o i protagonisti stessi siano cambiati radicalmente, quando dai fatti oggetto del processo sia trascorso un tempo lunghissimo, per cui la risposta dei giudici non riesce più a fare appieno giustizia.
Pensiamo al processo per droga che si è chiuso in appello a 17 anni dai fatti e che a breve penderà in Cassazione. Gli imputati sono tre uomini dell’hinterland a nord di Napoli. Durante un’operazione antidroga dei carabinieri di Casavatore, i tre, incensurati, furono arrestati con l’accusa di far parte di un gruppo dedito al commercio di cocaina e marijuana. Gli arresti furono annullati dal Riesame e i tre attesero il processo da liberi. Bisognò attendere i tempi delle indagini preliminari, concluse le quali si arrivò davanti ai giudici: l’udienza preliminare si concluse con un rinvio a giudizio mentre il dibattimento di primo grado, nel corso del quale fu anche disposta una perizia per analizzare in ogni dettaglio le conversazioni intercettate, si concluse con una sentenza di assoluzione per i tre imputati. In pratica, i giudici ritennero che a carico dei tre non fossero stati raccolti sufficienti elementi di prova per sostenere l’accusa, accogliendo la tesi della collegio di difesa di cui fa parte l’avvocato Gennaro de Falco.
Il pubblico ministero impugnò la sentenza perché voleva la condanna dei tre imputati per il reato di associazione finalizzata al traffico di droga. In appello il processo iniziò a gennaio 2020 e tra udienze celebrate e rinvii determinati dalla pandemia è arrivato a conclusione soltanto tre mesi fa con una decisione che ha parzialmente riformato il precedente verdetto. Nei giorni scorsi, infine, sono state depositate le motivazioni della sentenza. Ciò significa che il sipario sulla vicenda calerà solo tra qualche anno. Per il momento bisognerà attendere i tempi per impugnare la sentenza, depositare il ricorso e ottenere la fissazione e la definizione del processo dinanzi alla Corte di Cassazione: quando si arriverà alla conclusione del terzo grado di giudizio, dai fatti al centro del processo saranno trascorsi circa vent’anni, un tempo lunghissimo. Potrà sempre considerarsi giustizia? E può considerarsi giustizia quella che non riesce a pronunciarsi nel merito di un’accusa nonostante un tempo a disposizione lungo più di dieci anni?
Il secondo caso è quello di un uomo accusato di atti persecutori nei confronti della ex moglie. Stalking, dunque. I fatti si sarebbero svolti a Napoli a cavallo tra il 2010 e il 2011. Al centro delle accuse c’erano gli strascichi di un matrimonio naufragato. La donna denunciò l’ex marito, la denuncia fece scattare le indagini e le indagini diedero il via al processo. In primo e secondo grado l’imputato fu condannato. La difesa presentò ricorso in Cassazione e il terzo grado si è concluso soltanto ieri, con il deposito della sentenza che «annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione». Cioè i tempi di tutto l’iter processuale sono stati luoghi al punto da non poter essere considerati ragionevoli e da non poter consentire una valutazione nel merito delle accuse.
La prescrizione, infatti, chiude la parentesi processuale ma non consente di stabilire con certezza e oltre ogni dubbio come siano realmente andati i fatti, non prevedendo una decisione che entri nel merito del caso in esame, in questo caso il reato di stalking. La prescrizione, quindi, non rende piena giustizia alla vittima né all’imputato. Basti pensare che accade in un caso su due a Napoli. Il dato sulle prescrizioni è emerso dall’ultimo bilancio annuale del distretto di Napoli. Ed è soprattutto nella fase del secondo grado che con più frequenza si verifica l’estinzione del reato perché si sono superati limiti massimi di tempo per tenere una persona sotto processo in relazione alle accuse contestate.
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