L'analisi
Processo a distanza, rischioso se si estende oltre l’emergenza
Hai voglia a suggerire, da parte di autorevoli esponenti dell’accademia, l’introduzione di norme che rendano attualmente la custodia in carcere applicabile solo in ipotesi di eccezionale rilevanza come già avviene per alcune specifiche categorie di imputati. Niente, su questo il governo non ci sente, benché i detenuti in custodia cautelare siano quasi la metà di tutti i detenuti. O forse ci sente benissimo, sintonizzato come è con quei commentatori, come Travaglio, che alla parola carcere si eccitano sentenziando che lì dentro, in tempi di epidemia, si sta meglio e più protetti dal punto di vista sanitario, e dunque i detenuti si devono reputare fortunati perché i liberi rischiano più di loro. Affermazioni che, a quelli che sono entrati in un carcere sovraffollato, che hanno visto cosa significa campare nell’ultima fila di un letto a castello a tre piani, o cucinare su di un fornelletto sistemato vicino ad un cesso alla turca tappato con fondo di bottiglia, fanno venire il voltastomaco.
O forse ci sente benissimo il ministro, e con lui tutto il governo, perché sa bene che in questa maniera la pensano anche molti magistrati. A differenza di quella di sorveglianza, infatti, la magistratura di merito si sta dimostrando assai poco sensibile alla condizione dei detenuti in custodia cautelare; per questo motivo fioccano ordinanze di rigetto di richieste di arresti domiciliari, motivate anche da condizioni di salute, in cui si legge che negli istituti sono adottati “i protocolli in essere nel resto del Paese”.
Questo mentre, invece, i detenuti hanno paura, e hanno ragione, perché il distanziamento sociale in carcere è un ossimoro fariseo; perché le mascherine sono poche e quelle che arrivano a volte non sono a norma, tanto che un direttore ha affisso nella bacheca del carcere un avviso chiarendo che alcune di quelle che distribuiva non erano “dispositivi protettivi secondo i parametri normativi…” cui era “difficile riconoscere un ruolo protettivo”; perché i disinfettanti vengono messi solo negli spazi comuni e, bontà loro, distribuiti allo spaccio, cioè a pagamento. I detenuti hanno paura perché gli può capitare di essere trasferiti, all’inizio di aprile, da un carcere dove non si erano registrati casi ad un altro ove il COVID già s’era manifestato. Due settimane fa dicevo di Caporetto della giustizia, su questo giornale, ma solo perché ogni tanto mi capita di essere moderato: sul carcere è peggio.
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