Alfredo Romeo è stato condannato in primo grado a due anni e sei mesi per l’affare Consip. La giuria ha creduto alla tesi del Pm secondo la quale Romeo (che è anche l’editore di questo giornale) avrebbe versato dei soldi (non si sa quanti, forse 100 mila euro, forse meno) a un collaboratore della Consip (l’organismo che decide l’assegnazione degli appalti pubblici) per favorire la Romeo Gestioni. Lo avrebbe fatto pur sapendo che questo collaboratore della Consip non aveva nessun potere nel determinare l’assegnazione degli appalti.

L’accusa ha insistito sulla tesi che il versamento comunque c’è stato, anche se non c’era il movente e anche se del versamento non c’è nessuna traccia, neppure nelle giornate intere di intercettazioni ambientali, nelle quali sono stati ascoltati tutti i colloqui tra Romeo e questo collaboratore della Consip che si chiama Gasparri. A carico di Romeo c’è solo la testimonianza dello stesso Gasparri, che però non ha mai saputo dire né quanti soldi ha preso, né in che forma, né quando, né dove, né a quale scopo. Il risultato concreto delle accuse di Gasparri è stato quello che la società di Romeo (la Romeo Gestioni, appunto) ha perduto molti appalti che le spettavano e alcuni di questi appalti sono andati ad una società per la quale successivamente Gasparri è andato a lavorare.

Nel processo, l’accusa non ha portato neppure una prova, neppure un indizio, un riscontro, una coincidenza che potessero confermare le accuse di Gasparri. La difesa invece ha portato molti elementi che scagionano Romeo, compresi gli interrogatori resi davanti ai Pm dai massimi rappresentanti di vertice della Consip, i quali hanno detto di avere ricevuto parecchie pressioni per inquinare le gare ma hanno escluso che queste pressioni fossero giunte dalla Romeo. In realtà anche il tribunale ha ammesso che la società di Romeo era del tutto estranea ad ogni reato. Perché anche la società era imputata, ma è stata pienamente assolta. L’ipotesi, a lume di logica, è che Romeo abbia corrotto un funzionario della Consip non per favorire la sua società (anche perché il funzionario non ne aveva il potere) ma per suo diletto personale. Per divertimento. Per gioco.

Diciamo che abbiamo una sentenza abbastanza originale. Come abbiamo scritto nel titolo si tratta di una condanna per assenza di prove. Non insufficienza: totale assenza. Naturalmente è ragionevole chiedersi: ma perché allora Romeo è stato condannato? E che possibilità ci sono che la sentenza non sia cancellata in appello? Diciamo che le possibilità che la sentenza non sia cancellata in appello sono pochissime, perché una sentenza di questo genere è destinata ad essere smontata dai giudici di secondo grado. E questo probabilmente è chiaro a tutti. Il problema, se capisco bene, è che una assoluzione sarebbe stata troppo clamorosa. Perché avrebbe suonato come una durissima sconfessione della procura di Napoli – che avviò le indagini – della procura di Roma, che le proseguì e fece anche arrestare Romeo sulla base di una accusa (corruzione aggravata) che poi non ha avuto il coraggio di sostenere nel dibattimento, e anche dei nuclei speciali dei carabinieri che hanno partecipato a tutta la vicenda giudiziaria.

Diciamo che, a occhio, a determinare la sentenza non è stato il diritto ma una valutazione politica di opportunità. Questo spiega anche il compromesso deciso dalla giuria. L’accusa aveva chiesto una condanna a quattro anni e dieci mesi, la Corte l’ha praticamente dimezzata.
In serata sono arrivati i comunicati degli avvocati di Romeo e della società. Dicono gli avvocati (Giandomenico Caiazza e Alfredo Sorge): “Prendiamo atto del drastico ridimensionamento delle originarie accuse contestate all’avvocato Romeo e della piena assoluzione della società del gruppo Romeo. Esprimiamo la certezza che nei gradi successivi sarà affermata senza alcuna riserva l’innocenza del nostro assistito anche in relazione alla residua ipotesi di reato per la quale ha subito la odierna condanna”.

La Romeo Gestioni ha rilasciato un comunicato nel quale esprime la sua soddisfazione per l’assoluzione: “Prendiamo atto del dispositivo pronunciato oggi dal Collegio Penale del Tribunale di Roma, presieduto dalla dottoressa Roja, con cui, a chiusura del procedimento Consip, avviato nel 2017, la società è stata completamente prosciolta da ogni ipotesi accusatoria perché, come chiarito dal Collegio espressamente nel detto dispositivo, l’illecito amministrativo contestato è risultato insussistente’. ‘’Per conseguenza – si spiega – il Tribunale ha disposto l’immediata restituzione alla società dell’intera somma di circa 3 milioni di euro versata nel 2017 per decisione del Gip del Tribunale di Roma’’.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.