Non l’hanno presa per nulla bene dalle parti del Fatto Quotidiano la decisione della Procura generale di Milano di rinunciare questa settimana ai motivi d’appello nel processo di secondo grado sul caso Eni/Shell Nigeria nei confronti, tra gli altri, dell’attuale ad della compagnia petrolifera Claudio Descalzi, del suo predecessore Paolo Scaroni e delle due società.

Una decisione che ha determinato la conferma dell’assoluzione di primo grado per tutti i 15 imputati e che in questo modo è diventata definitiva.
Il nervosismo dei segugi del Fatto è comunque comprensibile dal momento che per anni hanno seguito pancia a terra l’inchiesta del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale che dava credito a due taroccatori come Piero Amara e Vincenzo Armanna.  Quest’ultimo, in particolare, aveva un rapporto molto privilegiato con i giornalisti del Fatto arrivando a mostrargli in anteprima le chat che sosteneva di aver scambiato nel 2013 con Descalzi e con il capo del personale Claudio Granata, a riscontro dell’attività corruttiva del colosso petrolifero.

I contatti fra Armanna, ex manager Eni, e giornalisti del Fatto emergono in maniera evidente da una nota depositata dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza del capoluogo lombardo, a firma del colonnello Francesco Lorusso, ed indirizzata alla pm milanese Laura Pedio, che il Riformista ha potuto visionare. Dopo aver sequestrato il telefonino di Armanna, i finanzieri hanno estrapolato una lunga chat con un giornalista del Fatto che inizia a giugno del 2016 e termine a novembre del 2020. Il giornalista, si legge nei messaggi, sollecita Armanna affinché gli inoltri anche gli screenshot compromettenti delle chat con Descalzi e Granata, dopo averle in precedenza inviate sotto forma di file zip.  Armanna esegue ed invia pure un video delle operazioni.

Il giornalista gli fa presente però che il nome utente non è riconducibile ad una numerazione telefonica e che pertanto non sarebbe una prova “genuina”.  Per avere un riscontro migliore, “dovresti farlo mentre mostri contatto e le apri entrambe”. Armanna esegue. Il giornalista risponde allora di aver verificato “con le mie fonti che tali chat non sono state depositate”. Non specificando quali.  Il primo novembre del 2020 il Fatto pubblicherà il primo articolo di una lunga seria di articoli su questa storia dal titolo: “Armanna mostra le chat”. Come è andata poi a finire è noto: le chat erano false e create ad hoc per rafforzare la tesi accusatoria di Armanna. Aveva ragione, quindi, il pm Paolo Storari quando all’inizio del 2021 aveva ipotizzato ai colleghi anche la falsità di queste chat tra i possibili indizi di calunniosità di Armanna (a suo avviso da arrestare con Amara).

Tutti aspetti che invitava i colleghi a depositare per correttezza nei confronti giudici del processo Eni-Nigeria. Una falsità che Storari deduceva a prescindere da complesse perizie dalla semplice verifica che i numeri di telefono, attribuiti a Descalzi e Granata nei messaggi con Armanna, nemmeno fossero attivi nel 2013. Altro che tarocco. De Pasquale, però, non diede mai retta a Storari e questa settimana su questa pagina ingloriosa della Procura di Milano è calato definitivamente il sipario. Con grande dispiacere del Fatto.