Processo Ilva, “l’acciaieria nasce inquinante” ma sotto accusa politici e impresa

Un altro rinvio a giudizio è partito all’indirizzo della società ArcelorMittal e sette suoi dipendenti accusati dalla Procura di Taranto di cooperazione in omicidio colposo e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro in relazione alla morte di un lavoratore precipitato nel 2019 cadendo da una gru durante un tornado.
All’epoca era ancora vigente il cosiddetto “scudo penale”, ma come dimostrano i tanti fascicoli aperti, a differenza di quanto raccontavano le strumentali cronache grilline dell’epoca, che poi portarono alla sua abolizione, mai ha riguardato le responsabilità sulla sicurezza.

Eppure a pochi metri da lì al porto nell’ultimo anno sono morti due operai mentre lavoravano alla movimentazione di pale eoliche, ma se gli incidenti non riguardano Ilva purtroppo non ne parla nessuno. Eppure una dichiarazione importante arriva oggi dal dottore Franco Sebastio, procuratore capo di Taranto durante il processo Ilva: “Quell’impianto nasce inquinante. Mi spiego meglio: l’inquinamento non era provocato da difetti di manutenzione, di controllo, ma dalla sua struttura operativa: i parchi minerali, i nastri trasportatori, le cokerie, l’impianto di agglomerazione e così via “dovevano” necessariamente inquinare, cioè disperdere sostanze pericolosissime sia per la salute del personale dipendente, sia per i cittadini di Taranto”.

Le ha scritte in un intervento alla genesi del quotidiano che ha fondato e di cui oggi è editore. Le ha scritte ora, che è in pensione dalla Procura, dopo che per quell’impianto “nato inquinante” sono stati processati una famiglia industriale, i più importanti tecnici siderurgici d’Italia, e persino Nichi Vendola. Condannati in primo grado un anno fa, oggi dopo 10 anni e 400 udienze, ancora non riescono a conoscerne le motivazioni e quindi a chiedere appello. Ma se è nato inquinante, per mano dello Stato che lo costruì 60 anni fa, perché deve essere accusato di disastro ambientale il privato che è arrivato dopo per fare ciò che il pubblico non riusciva a fare? Perché devono pagare gli amministratori che hanno cercato di fissare delle regole ambientali, e non quelli che decisero di costruire un siderurgico a ridosso di una zona residenziale già esistente, e poi di ampliare il quartiere? Per quante tempo ancora sui gestori di oggi devono ricadere le accuse di quelli del passato?

Eppure secondo il pm nella requisitoria al processo Ambiente svenduto “gli imputati erano animati da dolo intenzionale diretto all’evento del reato, che è il disastro; poi ci può essere anche un altro fine, quello di produrre acciaio, quello di produrre reddito, ma non influisce affatto sulla esistenza del dolo intenzionale, che era proprio quello del disastro”. Cioè secondo l’accusa i Riva erano arrivati a Taranto proprio con il fine di commettere gravi reati nel territorio tarantino. E invece fu lo Stato a fargli firmare un contratto di acquisto che imponeva di mantenere i livelli produttivi e occupazionali, con penale miliardaria in caso di mancato rispetto della clausola. E nonostante nel processo è stato dimostrato che tutti i limiti e le leggi ambientali dell’epoca fossero rispettate, secondo il pm: “qui il problema non è se ha superato o no i limiti, la Corte deve dire se Ilva continua ad inquinare nonostante gli interventi che dovevano fermare l’inquinamento.

Se non vi sono tecnologie in grado di eliminare allora lo devo bloccare”. Eppure è dal 2013 che la Corte Costituzionale ha spiegato che quelle tecnologie esistono, sono prescritte nel piano Ambientale rilasciato dal ministro Orlando nel 2013, e la loro attuazione garantisce il bilanciamento tra diritto alla salute e al lavoro. Cosa che oggi i tecnici Ispra confermano sta avvenendo secondo cronoprogramma. Ma la stessa Procura che continua a processare società e dipendenti è chiamata a esprimersi sulla richiesta di dissequestro degli impianti in custodia cautelare preventiva dal 2012, mentre la Corte che dovrà decidere ci ha già messo il carico stabilendone la confisca in primo grado.

Senza la revoca di tutti i sequestri e l’assenza di misure restrittive la vendita dello stabilimento ad Acciaierie d’Italia e l’aumento della quota societaria pubblica non potrà verificarsi. Cosa che infatti ha già fatto slittare il closing fissato per maggio 2022. Lo aveva stabilito il presidente Conte quando decise di rinazionalizzarla svincolando l’investimento privato proprio togliendo lo scudo penale necessario in questo Paese per proteggersi da errori altrui e per impedire alla magistratura di decidere la politica industriale del Paese, dimenticando di mettere a bilancio pubblico i 4 miliardi necessari per il piano siderurgico dell’acciaio di stato.