“Surreale”. Così Trump ha definito la sua udienza entrando nel tribunale dove da lì a poco gli sarebbero state lette le 34 accuse nel caso Stormy Daniels. Prima aveva scritto sul social Truth: “Sembra così surreale. Mi stanno per arrestare. Non riesco a credere che questa cosa stia accadendo in America”. Con il suo ingresso in tribunale, l’ex presidente è tecnicamente “under arrest”, sotto arresto. Anche senza foto segnaletiche né manette, ma è comunque “under arrest”. Non è la fine di una storia. È l’inizio di un nuovo capitolo. Martedì 4 marzo 2023, un giorno storico per l’America. Per la prima volta dalla fondazione del Paese, un presidente, o ex presidente, viene incriminato per un reato.

Donald Trump ha trasformato il giorno della sua incriminazione nel giorno di un nuovo, devastante attacco alle istituzioni del Paese di cui è stato presidente. Si è presentato alle 14.15 (le 20,15 in Italia) nel palazzo delle Manhattan Criminal Courts di New York City. Al tycoon non sono state imposte manette o foto segnaletica. Ad attenderlo c’erano decine di suoi sostenitori. Sono arrivati dal Connecticut, da Long Island e sono avvolti nella bandiera americana. Trump “è la cosa migliore che sia mai capitata a questo paese, è fantastico”, dicono orgogliosi anche se un po’ frustrati dal non poter manifestare liberamente sul marciapiede. A sostenere Trump fra i manifestanti davanti alla procura di Manhattan c’era anche George Santos, il deputato repubblicano ‘bugiardo’ salito alle cronache per aver truccato il suo curriculum. Occhiali scuri e serio, Santos dice: “Sostengo il presidente”. E a sostenerlo c’è anche la deputata repubblicana, Marjorie Taylor Greene.

Trump non ha smentito le attese della vigilia. Si è difeso attaccando. “Un giorno tragico per la nostra repubblica”. Lo scrive l’ex presidente in una mail ai suoi sostenitori, “l’ultima prima del mio arresto”, in vista dell’udienza per la sua incriminazione a New York, davanti a quello che definisce “un tribunale illegale”. Trump prosegue: “Il nostro movimento ha superato così tanto. E non c’è dubbio nella mia mente che prevarremo ancora una volta e conquisteremo la Casa Bianca nel 2024”. La mail si conclude con un link per donare alla sua campagna, chiedendo finanziamenti tra i 24 ed i mille dollari, ed esprime la preoccupazione che gli Stati Uniti stiano diventando un “Paese del Terzo Mondo marxista”. Poco dopo l’invio dell’e-mail, Trump ha pubblicato un messaggio in caratteri cubitali su Truth Social, la piattaforma di social media di sua proprietà, definendo la corte di New York dove è comparso come “una sede molto ingiusta, con alcune aree che hanno votato l’1% di repubblicani”. Nel suo post, l’ex presidente si scaglia poi contro il giudice Juan Merchan definendolo “un giudice grandemente di parte”.

“È stato disastrosamente ingiusto nel precedente caso collegato a Trump – aggiunge riferendosi ad una sua recente sentenza di condanna della Trump Organization per frode fiscale – ha istruito in modo orribile la giuria ed è impossibile avere a che fare con lui in questa caccia alle streghe”. “Kangaroo court”, conclude il tycoon, usando l’espressione anglosassone per definire un tribunale illegale. Lo scontro è frontale. Drammatico. Riferisce la Nbc che in una mail inviata ai finanziatori, l’ex presidente ha scritto: “Oggi piangiamo la fine della giustizia in America. Oggi è il giorno in cui un partito politico al potere ARRESTA il suo principale avversario per non aver commesso alcun reato”. L’altra notte il tycoon ha lasciato il resort di Mar-a-Lago, in Florida, ed è volato a New York dove è atterrato all’aeroporto Fiorello La Guardia nel Queens. In viaggio con l’ex presidente anche il figlio Eric. Dall’aereo Trump ha attaccato i magistrati, che non indagano sul modo in cui Joe Biden ha gestito i documenti riservati, mentre lui viene perseguito per le carte trovate a Mar-a-Lago.

“Quando esamineranno i documenti di Biden?… Io ho seguito il Presidential Records Act, lui no. Lui ha ostacolato, io no. Il procuratore Jack Smith, che odia Trump e che è un pazzo, dovrebbe dire ”PRENDETE BIDEN!”, ha scritto l’ex presidente sul social Truth. Il tycoon plurinquisito trasforma l’udienza in tribunale in uno spot elettorale. È lui stesso a prendere la parola in aula per dichiararsi non colpevole. L’ex presidente ha insistito con i suoi avvocati perché nessuno di loro parlasse in sua vece. Le telecamere non sono state ammesse nell’aula del tribunale. Lo ha deciso il giudice Juan Merchan, accogliendo la richiesta dei legali del tycoon. I network americani avevano chiesto di poter riprendere l’udienza. “Che questa incriminazione – ha scritto il giudice – veda coinvolta una questione di monumentale interesse è incontestabile. Nella storia degli Stati Uniti mai un presidente in carica o che lo è stato era stato incriminato per reati penali”. “La chiamata in giudizio del signor Trump – ha aggiunto – ha generato un interesse pubblico e mediatico senza precedenti”. Merchan ha definito “comprensibile” la richiesta dei network, ma anche aggiunto che la “troppa attenzione” avrebbe generato una “atmosfera da circo”.

La New York che ha accolto il mai amato ex presidente è una metropoli blindata, militarizzata. Per le strade della città è stato dispiegato un vero e proprio esercito di 35mila agenti in tenuta antisommossa. L’intero Lower Manhattan è transennato. Inaccessibile la zona a ridosso del tribunale. “No, ho fiducia nella polizia di New York”: così l’altro ieri Joe Biden, in risposta ad una reporter della Cnn che gli chiedeva se temesse tumulti a New York nell’udienza per l’incriminazione del suo predecessore alla Casa Bianca. Il 60% degli americani approva l’incriminazione di Donald Trump, secondo l’ultimo sondaggio della Cnn pubblicato lunedì.

Tre quarti degli americani intervistati, rivela ancora il sondaggio, ritengono che la politica abbiamo giocato un ruolo nel caso e per il 52% di questi “È la motivazione principale”. Ma l’America che ancora crede nel suo “eroe”, vittima di un complotto giudiziario, è sul piede di guerra. Nei gruppi dell’alt-right americana e nelle chat dei Qanon si arriva anche a parlare di insurrezione: “Meglio la guerra civile che la tirannia dei democratici”. Un grido di battaglia raccolto e rilanciato da Trump al termine dell’udienza. Accusa i giudici, i Democratici, la cricca della Casa Bianca e chiama a raccolta le sue truppe. Lo spettro della guerra civile aleggia sull’America.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.