Magistratura alla deriva
Procura di Roma decapitata, destituito Prestipino: è la fine del gruppo di potere di Pignatone?
Il colpo inferto dal Consiglio di Stato è micidiale. Delegittima il Csm, smascherando giochetti e camarille, e decapita la Procura di Roma, ponendo fine – forse – al lungo dominio di quel gruppo potentissimo di magistrati riuniti attorno all’ex Procuratore Pignatone. Dico “forse” perché chi sa delle cose interne alla magistratura racconta che è già incorso la controffensiva, e che il gruppo fedele a Pignatone e Prestipino ha dei piani in mente per salvare la poltrona all’attuale procuratore, sebbene la sua nomina sia stata illegittima.
La magistratura non è un luogo che assomiglia agli altri luoghi del potere e della scena pubblica. Nei quali, comunque, vigono delle regole di comportamento che non possono essere aggirate. Prestipino è stato dichiarato decaduto prima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato: immaginate cosa succederebbe se un senatore o un deputato fosse dichiarato decaduto. Sparirebbe dal Parlamento in cinque o sei minuti. Prestipino invece resta al suo posto, resiste all’evidenza, al buon senso, alla legge. Mi ricordo di quando i giustizialisti ci spiegavano che i politici si devono fare da parte ancor prima che sia accertato un reato, se la loro condotta presenta aspetti eticamente discutibili. C’è una ministra che qualche anno fa fu messa alla porta solo perché il suo fidanzato era stato intercettato mentre la maltrattava a parole. Prestipino invece può restare al suo posto. Così come al loro posto sono tutti i magistrati riempiti di vergogna dalle accuse di Palamara, giusto per fermarci al libro e non affrontare il capitolo Amara. Eppure i politici non dispongono della nostra libertà e delle nostre vite, i magistrati sì.
La magistratura ha scelto questa linea per resistere alla bufera. Far finta di nulla. Aggrapparsi a ogni cavillo. Rimettere in moto il potere di controllo e di ricatto che le correnti continuano ad avere. Tramare, scambiare potere e favori, disinteressarsi alla giustizia. È nel pantano fino al collo, la magistratura, ma sembra non preoccuparsi troppo: sguazza nel fango. Protetta non solo dal Fatto Quotidiano, cioè dal giornale ufficiale del partito dei Pm, ma anche dai grandi organi di stampa e da moltissime televisioni. Il tesoretto che è rimasto in mano ai Pm è quello: un drappello molto folto di giornalisti, che in questi decenni hanno servito fedelmente il potere giudiziario, e ancora hanno un po’ paura a liberarsi dei lacciuoli e tornare liberi. Esiste questo fenomeno, studiato da molti sociologi e filosofi: la paura di tornare liberi, dopo tanti anni di sottomissione. Sindrome di Stoccolma.
Non scattò questo timore della libertà, 30 anni fa, quando scoppiò Tangentopoli, e i magistrati diedero l’assalto al Palazzo politico. In quel momento i giornalisti che erano stati scudieri dei capi partito ci misero pochi minuti a saltare la barricata e passare coi Pm. Qual è la differenza tra allora e oggi? Allora ai giornalisti in fuga fu offerto un rifugio sicuro da un potere -quello giudiziario- che era più forte del potere che tradivano. Stavolta invece se abbandoni i Pm resti solo, libero, senza protettori: la politica è troppo debole per offrirti un riparo, è diventato impossibile sottometterglisi.
Quindi resisterà il pantano? Stavolta forse non ce la fanno. Si odiano tra loro, hanno paura, commettono errori su errori. E sta diventando concreta la possibilità che la rivolta esploda nelle stesse file della magistratura. Ogni volta che si parla del potere giudiziario si dice, quasi per formalità, di non fare d’ogni erba un fascio, perché esistono tanti magistrati onesti. Non è una formalità: esistono davvero, solo che sono sempre stati silenziosi. Magari stavolta trovano il coraggio per alzare la testa e dire basta. Sarebbe una rivoluzione. L’impero dei Pignatones potrebbe vacillare davvero, gruppi di magistrati onesti e interessati alla giustizia potrebbero conquistare posti chiave, lo stato di diritto potrebbe tornare a fare capolino nella nebbia. Speriamo. Se parte la campagna referendaria, questo è certo, può dare una mano. Anche perché sperare in una spallata della politica, o dei giornalisti, è inutile.
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