Cala costantemente la produzione industriale italiana. Con i dati appena pubblicati dall’Istat relativi al mese di novembre siamo al decimo calo mensile registrato nel 2023. La produzione industriale è scesa dell’1,5% a novembre 2023 rispetto al calo dello 0,2% di ottobre e alle stime di un calo dello 0,2%. Mentre l`indice grezzo segna -3% su anno. Si tratta della contrazione più consistente da aprile, in quanto l’economia del Paese è in difficoltà a causa dell’inflazione che frenano investimenti e consumi.
L’output risulta ora più basso di ben -5,2% rispetto a febbraio 2022 (prima della guerra in Ucraina) e di -2,6% rispetto a febbraio 2020 (prima dello shock pandemico).
Il bilancio su base annua racconta qualcosa in più dello stato di salute dei diversi settori, che mediamente presentano ricavi in flessione, in parte per il venire meno dell’effetto sui listini dei sovraprezzi applicati lo scorso anno per l’energia; in parte per un effettivo calo dei volumi. In generale, infatti, rispetto all’anno precedente sono in discesa in media sia gli incassi (-2,6%), che le quantità: -2,7% a settembre, -2,4% nel bilancio dei primi nove mesi dell’anno.
L`intonazione negativa di novembre – osserva l`Istituto Nazionale di Statistica – è diffusa a tutti i principali comparti. Sempre su base tendenziale, si osservano variazioni positive per l`energia e i beni strumentali, a fronte di flessioni per i beni di consumo e i beni intermedi. In particolare l`indice destagionalizzato mensile, come detto, segna riduzioni congiunturali in tutti i settori: variazioni negative caratterizzano, infatti, i beni strumentali (-0,2%), i beni intermedi e i beni di consumo (-1,8% in entrambi i raggruppamenti) e, in misura più marcata, l`energia (-4,0%).
Risulta in calo anche l`andamento congiunturale complessivo nella media degli ultimi tre mesi.
Tra i settori di attività economica la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati presenta un`ampia crescita tendenziale (+13,1%), seguono la fabbricazione di mezzi di trasporto (+2,1%) e la fabbricazione di macchinari e attrezzature (+0,8%). Le flessioni maggiori si registrano nell`industria del legno, della carta e della stampa (-12,7%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-9,3%) e nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (-8,5%).
Le condizioni del mercato del lavoro, rileva l`Istat, restano solide. A novembre, rispetto al mese precedente, sono aumentati gli occupati e gli inattivi, mentre sono diminuiti i disoccupati.
Ma i segni più sono per la verità limitati, coinvolgendo alimentari, macchinari e farmaceutica. Cali diffusi si registrano invece altrove, con picchi negativi per chimica e legno-carta, giù in entrambi i casi a doppia cifra sia nel mese che da gennaio. Male anche la metallurgia, dove però a pesare rispetto allo scorso anno è anche il costo ridotto di materie prime ed energia.
La Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che ha haccomentato questi dati, sottolinea che “L’industria è tornata a frenare il PIL a fine 2023, il che segnala rischi al ribasso sulla nostra stima di una stagnazione dell’attività economica nel 4° trimestre dello scorso anno”, aggiungendo che “i rischi sulla nostra previsione di un PIL italiano in crescita di 0,7% nel 2024 appaiono oggi orientati al ribasso”.
L’analisi di Intesa, firmata dall’economista Paolo Mameli, evidenzia che gli unici settori in crescita sono quelli che ancora godono della spinta derivante dalla “normalizzazione” post-pandemica dal lato dell’offerta (farmaceutico e mezzi di trasporto), mentre sia i comparti più legati alla domanda che, soprattutto, quelli energivori, restano in ampia contrazione.
Di fronte a tutto questo il governo Meloni, che ha affidato i dossier industriali ad Adolfo Urso, è completamente assente. Il ministro delle Imprese pensa che la soluzione sia nazionalizzare tutto, o che per lo meno lo stato debba imporre prezzi massimi, medi e minimi, come ha provato a fare con i biglietti aerei e il carrello della spesa. Purtroppo i dati evidenziano che i risultati sono disastrosi. A questo a breve si andrà ad aggiungere la crisi Ilva, che il ministro pensa di risolvere con il ritorno dello stato. Ma come bene gli ha chiesto ieri l’onorevole di Italia Viva Ivan Scalfarotto, non dice “cosa, come, chi, quando, con quali soldi e con quanti lavoratori”. Insomma non hanno una idea di politica industriale, altrimenti l’avrebbero descritta, anziché dichiarare guerra alle multinazionali. Che poi giustamente abbandonano il nostro Paese. I dati di dicembre sulla produzione industriale saranno sicuramente ancora più bassi, andando a chiudere un anno disastroso. E di fronte a tutto questo il ministro responsabile continua a dire che grazie a lui e il suo carrello abbiamo sconfitto la povertà e aumentato lo sviluppo. “Torna l’Italia del fare” ha detto Urso due giorni fa. Ma non ha detto cosa.