Il cosiddetto centrosinistra italiano dovrebbe indagare le cause della sconfitta dei democratici americani invece di “demonizzare” Trump e i suoi elettori, dimenticando che lo stesso è già stato presidente degli Stati Uniti senza fare quei danni che oggi paventano.

Trump è stato eletto – osservando i voti complessivi conseguiti – con circa 74 milioni e 800mila voti, appena 500mila in più di 4 anni fa quando fu sconfitto da Biden. Se tale incremento è l’effetto Musk, questo praticamente è stato insignificante: lo 0,2% dell’intero corpo elettorale americano. I democratici hanno perso, invece, circa 11 milioni di voti rispetto a quelli raccolti da Joe nel 2020. È probabile che la scelta del candidato presidente e le stesse modalità della nomina abbiano influito sull’esito negativo. Comunque la Harris ha preso più di 4 milioni di voti sia rispetto a Hillary Clinton (sconfitta da Trump) nel 2016 che allo stesso Obama, quando fu rieletto nel 2012. La vasta dimensione del calo elettorale, in appena 4 anni, trova sicuramente origine da fattori congiunturali ma anche latenti. Di certo hanno pesato le valutazioni sui governi dei democratici che per ben 12 anni, dal 2008, hanno guidato gli Stati Uniti.

Le insoddisfazioni e i giudizi negativi provengono, infatti, proprio da una parte dell’elettorato democratico che ha scelto di non andare a votare. Un elettorato storicamente concentrato negli Stati costieri e in quelli del Nord-Est (Michigan e Pennsylvania), dove si ha la maggiore concentrazione di abitanti e di ricchezza ma con forti aumenti delle diseguaglianze e degli effetti dall’immigrazione irregolare. In questi Stati i democratici raccolgono storicamente circa il 42% dei propri consensi, mentre i repubblicani il 30%. La forza elettorale di questi ultimi è principalmente nell’altra America, cioè quella ignorata o derisa dall’élite politica e culturale democratica. Proprio qui si concentra il 64% dei voti persi dalla democratica Harris rispetto alle precedenti elezioni del 2020. Allo stesso modo è interessante notare che qui Trump ha perso circa 2 milioni di voti: ancora una volta, non si trovano tracce dell’effetto Musk.

Al di là delle analisi più approfondite che si faranno sul voto americano, su che cosa dovrebbe riflettere la principale forza politica italiana di opposizione? Sicuramente dovrebbe prendere atto che il “modello” dei democratici americani, variamente scimmiottato in questi anni, è svanito. Il Pd dovrebbe domandarsi allora in quale misura ha contribuito, abbracciando ciecamente le suggestioni della “globalizzazione”, alle grandi crisi industriali e produttive lasciando i lavoratori senza protezioni e futuro. Dovrebbe dire come superare gli ostacoli alla crescita e alle innovazioni affinché la stessa distribuzione della ricchezza sia equa e senza il peso di un assistenzialismo sprecone e parassitario. Dovrebbe interrogarsi su come assicurare concretamente un efficiente sistema di “welfare” senza maggiori costi o aggravando la tassazione generale.

Infine dovrebbe dare concrete risposte al legittimo bisogno di sicurezza dei cittadini, senza perdersi in inconcludenti ragionamenti. Su tali questioni sono scivolati anche i democratici americani, che si saranno dimostrati poco credibili nelle proposte o addirittura responsabili delle mancate soluzioni. Su questi stessi temi il centrosinistra italiano è in caduta libera.