Il nuovo libro
Progresso, i dubbi e le contraddizioni di un’ideologia raccontati da Aldo Schiavone
È veramente strano che non esista una letteratura scientifica ampia sul progresso, che, come è noto, fu una idea portante dell’illuminismo francese. Così come è strano che, contestata radicalmente da Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche e dalla più parte dei filosofi e degli uomini di lettere successivi, essa continui a costituire comunque la struttura mentale portante dell’uomo moderno, giustificandone tic, aspettative, automatismi mentali. Da questo punto di vista si può dire che l’illuminismo ha scavato nel profondo, come una vecchia “talpa” per usare l’espressione di quel Marx che su questo punto rimase sempre fedele al “secolo dei lumi”. Ma il progresso esiste effettivamente o è una delle tante illusioni di cui è costellata l’autocoscienza umana? E se esiste in che modo lo si può definire? Come può ancora parlarsi di progresso dopo un secolo di ferro e fuoco quale è stato il Novecento e dopo i tanti genocidi di cui la Shoah ha rappresentato il momento più estremo e paradigmatico?
Sono le domande che si pone Aldo Schiavone in un agile volume intitolato semplicemente Progresso, da poco pubblicato per Il Mulino. L’autore che, progressista resta nonostante tutto, si vede però quasi costretto a motivare questa sua opzione in modo non banale, cioè attraverso un itinerario di pensiero non scontato e che svolge in tre tappe. Proprio per questo il libretto stimola molte riflessione anche in chi, come il sottoscritto, è scettico sulla consistenza di questa idea. Diciamo che lo sforzo di Schiavone è quello di legare in un’unica visione natura e cultura, da una parte, e progresso tecnico e progresso morale, dall’altra.
Nella prima tappa, l’autore ci mette di fronte allo svilupparsi, per accumulazione, di sempre nuovi ritrovati e artifici tecnici che hanno portato l’uomo ad aumentare nel tempo le sue potenzialità. Siamo però qui nel campo degli utensili o delle protesi, cioè di quello che serve all’uomo ordinariamente inteso per i suoi scopi di vita. Quello che si può constatare è, da una parte, l’accelerazione che il procedere accumulativo dell’acquisizione di certe tecniche ha ricevuto in età moderna, e soprattutto negli ultimi decenni; dall’altra, la difficoltà della razionalità politica e morale di tener dietro a queste trasformazioni. Se il discorso regge tuttavia per la politica, e in questo contesto inserirei l’attuale crisi della democrazia rappresentativa classica; più complicato diventa per la morale, la quale è un sentimento che accompagna l’umano e che è, nonostante i vari scientismi, concepibile solo nella sua autonomia, cioè indipendentemente dalle condizioni di fatto in cui l’uomo opera.
Non convince perciò l’idea che anche la morale progredisca, così come l’idea che la storia occidentale abbia prima progredito sul suo terreno e poi sull’altro della tecnica: semplicemente, ad un certo punto, come una valanga, gli effetti cumulativi della tecnica hanno preso a correre ma c’entra poco, secondo me, il fatto che precedentemente l’uomo era rivolto a comprendere soprattutto se stesso. Il fatto è che oggi il negativo del sentire morale, il male, è rappresentato proprio, sempre a mio avviso, dall’eccesso di razionalità strumentale che domina le nostre vite, che ci porta a perdere contatto con l’essenza strutturale finita e imperfetta dell’umanità. Il progressismo come ideologia, non necessariamente politica, da questo punto di vista ha non poche responsabilità.
Quanto poi alla storia naturale non dell’uomo, ma dell’universo intero, che è la seconda tappa del percorso, Schiavone ne dà un’interpretazione a sua volta “naturale”, e quindi evolutiva nel senso della teoria darwiniana dell’evoluzione: adattamento e sopravvivenza del più forte in condizioni diverse e mutevoli, assoluta casualità. Facendo per principio a meno di ogni spiegazione trascendente, e anche antropocentrica, Schiavone spiega la comparsa dell’uomo intelligente e immerso in una storia evolutiva, cioè dell’homo sapiens, come la realizzazione di un caso fra gli infiniti possibili. Il problema è che questo uomo intelligente e capace di usare le tecniche si è messo ora in grado di agire sulla sua stessa natura, che può plasmare e adattare secondo i suoi desideri con le tecniche dell’ingegneria genetica e affini.
Nella terza tappa, si ricongiungono quindi natura e cultura aprendo scenari affascinanti, e inquietanti al tempo stesso, sul futuro stesso dell’umanità. L’impressione è che una lettura naturalistica anche della storia umana, come è quella che ci propone Schiavone, non tenga conto di quell’elemento di tragicità che fa da sottofondo alle nostre vite e che non tollera la troppa ed accecante luce che promana dalla razionalità scientifica col suo ottimismo e la sua fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive”. Credere ancora nel progresso e nella ragione, a prescindere, sembra paradossalmente sempre più un atto di fede.
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