Promessi sposi: Orban nell’angolo torna a Canossa e Meloni la spunta

Luci e ombre. L’Europa esce tutto sommato più forte da un Consiglio europeo che ne ha seriamente messo a rischio il ruolo politico nel nuovo e caotico ordine mondiale. Si risolve, ad un passo dal precipizio, il nodo della revisione del bilancio europeo con il via libera ai fondi dell’Ucraina da parte di tutti i 27 paesi europei. Resta in piedi la protesta degli agricoltori europei ma l’aria è che la campagna elettorale piegherà Commissione e Consiglio a più miti consigli anche rispetto alle richieste, non tutte infondate, degli agricoltori europei che ieri hanno spinto i loro trattori, più di mille, fin sotto palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea bloccando nei fatti l’Europa building. Il fatto che siano potuti arrivare fin lì pur tra qualche tensione con le forze di polizia, dimostra la volontà di ascoltare e recepire le loro richieste. “Guardate fuori” ha detto il leader polacco Tusk. Della serie: non possiamo perdere tempo con i veti incrociati, il mondo fuori ha delle urgenze. Von der Leyen e Michel ha promesso ascolto. I singoli paesi, la Francia in testa, stanno già provvedendo.

Poteva essere un disastro questo Consiglio. I presupposti erano pessimi e nefasti. Ieri poco dopo le 12, invece, è arrivata la fumata bianca. “Abbiamo un accordo” ha annunciato il presidente del Consiglio Ue, il belga Charles Michel. “Tutti i 27 leader hanno concordato un pacchetto di sostegno aggiuntivo di 50 miliardi di euro per l’Ucraina all’interno del bilancio dell’Ue. In questo modo si garantisce un finanziamento costante, a lungo termine e prevedibile per l’Ucraina. La Ue sta assumendo la leadership e la responsabilità del sostegno all’Ucraina”. Orban, dunque, alla fine s’è piegato. La contropartita per il premier ungherese non è chiara ma c’è. Esiste. S’intravede qualcosa nel passaggio del documento finale in base al quale “il meccanismo di condizionalità (che ha già congelato 28,6 miliardi di fondi Ue a Budapest, ndr) dovrà essere proporzionato all’impatto delle violazioni dello Stato di diritto”. Si parla anche di “equo trattamento”. Insomma, poiché è chiaro che Orban non ha fatto il passo indietro a gratis, possiamo immaginare che ci saranno presto novità sullo scongelamento degli ulteriori 18,6 miliardi che Bruxelles tiene ancora fermi. Infatti anche il premier ungherese può esultare. “Missione compiuta” ha detto: “I nostri soldi non potranno in alcun modo essere utilizzati per foraggiare il fondo per Kiev”.

Fin qui la cronaca in chiaro. La vera partita è stata giocata nella notte tra mercoledì e giovedì nel foyer dell’hotel Amigo quando Macron, Orban e Meloni hanno avuto bilaterali separati. Di nuovo ieri mattina quando allo stesso tavolo si sono trovati Orban, Macron, Meloni e anche Scholz, von der Leyen e Michel. E un altro faccia a faccia tra la premier italiana e quello ungherese. Il governo italiano ha alla fine giocato un ruolo decisivo. E non lo dice solo il ministro Fitto.

Questa volta lo hanno confermato anche altre fonti europee, ad esempio belghe. “Ho lavorato con lui per non dividere l’Europa” ha rivendicato Meloni nel punto stampa finale sotto la Lanterna dell’Europa Building. Dove per una volta è arrivata sorridente e distesa nonostante la stanchezza. Probabilmente, nelle varie interlocuzioni, Meloni ha anche fatto capire all’amico Viktor che questa volta non solo sarebbe rimasto solo perché i 26 paesi sarebbero andati avanti comunque, con o senza Ungheria destinata così ad una marginalizzazione che avrebbe avuto conseguenze serie all’interno.

Come che sia, Orban ha alla fine ceduto. Non sarebbe bastato, questa volta, uscire dall’aula e non votare. Serviva l’unanimità. E unanimità è stata. La premier italiana rivendica anche il suo modo di fare politica estera. “Se non avessi avuto la capacità di dialogare con tutti i leader e non solo con due o tre – ha spiegato – oggi non avremmo un accordo con tutti i 27 paesi dell’Unione che salva l’Ucraina. E anche il ruolo politico dell’Europa. E probabilmente non avremmo neppure i soldi per le migrazioni, per la Difesa, per la flessibilità e tutto il resto che era previsto nella revisione del bilancio europeo”.

La vera contropartita per Orban sarà chiara solo nei prossimi giorni. Di sicuro nei colloqui di queste ore, e in questa fase della legislatura sempre più calata nella campagna elettorale e negli scenari per la nuova maggioranza che uscirà dal voto del 9 giugno, s’intrecciano tante partite. Ad esempio le alleanze. Fidesz, il potente partito di Orban, non è più nel Ppe (accompagnato alla porta un paio di anni fa) e i suoi dodici seggi fanno gola a molti. Soprattutto ai Conservatori, la famiglia politica di cui Meloni è presidente: nei sondaggi pesa qualcosa di più di ottanta seggi e negli ultimi mesi è stata superata, di poco, da Identità e democrazia, il gruppo che vede insieme Salvini, Le Pen, Afd e altre destre sovraniste europee. Anche ID corteggia Orban e i suoi voti. Non è un caso che Salvini in queste ore si sia schierato senza se e senza ma al fianco dell’Ungheria sul caso Salis. “L’ingresso di Orban in Ecr è un dibattito aperto ma non credo che sarà deciso nelle prossime ore” ha messo le mani avanti Meloni che sa benissimo come questo argomento potrebbe avere effetti collaterali micidiali sul voto di giugno. E sulla maggioranza politica che governa l’Italia. I Conservatori andranno in alleanza con i Popolari? E se si portano dietro Fidesz, saranno guai per ID che rischia di restare ancora una volta fuori da tutto. Alchimie del domani che affondano le radici nell’oggi.

Se qualcuno è rimasto spiazzato dalla fumata bianca di Bruxelles, questo qualcuno è Salvini che negli ultimi giorni si era esposto in modo scomposto sul caso Salis. Anche su questo Meloni ha invece cercato di portare segnali rassicuranti: “Né in Italia né in Ungheria il governo può intervenire sulle decisioni della magistratura”, ha detto la premier ripetendo le dichiarazioni pubbliche dello stesso Orban (ma proprio su questo l’Ungheria è stata sanzionata). “Mi sono però raccomandata che siano tutelati i diritti della nostra concittadina”. Sul resto stanno lavorando i canali tecnici e diplomatici, il ministero della Giustizia e degli Esteri. Sempre tardi. Ma qualcosa si muove.