L’Umanista
Una cultura nazionale da cambiare
Proprietà privata e libertà individuale: le scorciatoie ideologiche di destra e sinistra, incapaci di vivere il presente
La rubrica “L’umanista” di Alessandro Chelo, esperto di leadership e talento. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo
Negli ambienti governativi, si parla con sempre maggiore insistenza di porre dei limiti ai cosiddetti “affitti brevi” delle abitazioni private. Evidentemente, ci si illude di risolvere così il tema generale della “casa” e di favorire in questo modo l’attività turistica delle strutture ricettive. Ancora una volta, si cercano scorciatoie ideologiche per non affrontare i temi con una visione strategica. In questo caso, la scorciatoia ideologica si fonda sull’idea che un cittadino che abbia guadagnato un po’ di soldi (tassati) e li abbia risparmiati (ritassati) e ci abbia acquistato una casa (pagando la tassa sull’acquisto e poi la tassa sulla proprietà), non sia libero di fare l’uso che crede della sua proprietà. Sembrerebbe un atteggiamento più tipico della cultura politica della sinistra che non della destra che governa, ma non è così: quantomeno in Italia, destra e sinistra si assomigliano moltissimo ed entrambe si tengono ben distanti da una logica di tipo liberale.
D’altronde, il governo Renzi (all’epoca segretario del PD e quindi a pieno titolo rappresentante della sinistra) assunse a suo tempo un atteggiamento politico identico a quello adottato oggi dal governo Meloni, quando volle regolamentare (si legga limitare) l’attività cosiddetta home restaurant. Anche in quel caso si riteneva che il privato cittadino non dovesse essere libero di disporre della propria abitazione e che gli individui non dovessero essere liberi di scegliere se mangiare in un ristorante (quindi assoggettato alle normative commerciali) o in un’abitazione privata (quindi assoggettata alle normative civili). In quel caso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato bocciò lodevolmente l’iniziativa del governo. Confido che sorte analoga avrebbe l’iniziativa meloniana rispetto agli affitti brevi. Questa cultura politica comune a destra e sinistra, viene da lontano. Vediamo quali sono i fattori che l’hanno generata.
Innanzitutto la totale incomprensione dei processi socio-economici indotti dall’epoca 4.0, in particolare rispetto al fenomeno della sharing economy. La sinistra pare tuttora affezionata ai polverosi modelli industriali novecenteschi, la destra guarda con accigliato sospetto ai processi di globalizzazione e digitalizzazione. La sinistra come la destra sono incapaci di vivere il presente.
Il secondo fattore riguarda un lascito culturale fascista: il corporativismo. Tanto a destra quanto a sinistra, si giudica moralisticamente il lobbismo trasparente delle democrazie liberali e si preferisce agire sotto traccia in favore di questa o quella corporazione, sia essa quella degli albergatori, sia essa quella dei ristoratori.
Il terzo fattore, il più significativo, è di natura storica. La Repubblica italiana nacque in un contesto geo-politico che costrinse il mondo cattolico e il mondo comunista a collaborare. Tutto sommato l’impresa si rivelò meno improba del previsto e chi ne fece davvero le spese fu il mondo politico liberale. Così si diede vita a una Costituzione di stampo catto-comunista che caratterizza tuttora la Repubblica e si è sedimentata una cultura nazionale che ha pervaso tutte le aree politiche. Tale cultura nazionale si fonda sull’idea che il lavoro non sia un’opportunità da costruire, ma una pretesa da rivendicare; è una cultura che premia il cittadino-lavoratore sul cittadino-cliente, guarda con diffidenza moralistica al profitto e, di fatto, ripudia la sacralità della proprietà privata, asse intorno al quale vengono costruire le democrazie liberali.
Si tratta di una cultura nazionale che ha permeato larghissima parte della società e che siamo chiamati a superare. In sostanza la rivoluzione liberale di cui parlava Berlusconi negli anni ‘90 va fatta davvero, così come va realizzata davvero quella seconda Repubblica di cui si ciancia, ma che è ancora di là da venire e non può che fondarsi su un profondo riesame costituzionale, non limitato alla seconda parte.
Chi può assumere la leadership di un processo di tale portata? Di certo non gli eredi di quei mondi politici cattolici e comunisti che hanno dato vita a quella prima Repubblica che siamo chiamati a superare. Neanche la destra sembra pronta senza un solido supporto liberale. Per questo è più che mai necessario mettere mano alla generazione di un’area politica liberale e umanistica che sappia parlare il linguaggio della nuova epoca e sia attrattiva per qualunque elettore. Non so grazie a chi, come e quando ciò potrà accadere, so però che di certo non accadrà, come invece ritengono alcuni terzopolisti, grazie a un cartello elettorale di partitini composti prevalentemente da ex-PD allargato agli ex-Radicali.
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