Allarme dopo il sì dell’Ue
Prosek sfida prosecco, e l’Italia corre ai ripari
Nei giorni scorsi la Commissione europea ha autorizzato la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue della domanda di registrazione della menzione tradizionale Prošek, partita dalla Croazia. Una notizia che ha creato il panico tra produttori del Prosecco. Il nome del vino croato è davvero troppo simile alle bollicine nostrane: può trarre in inganno i consumatori di tutto il mondo e danneggiare il vino italiano. Le bottiglie prodotte dalle tre denominazioni del Prosecco – Prosecco Doc, Prosecco Conegliano Valdobbiadene e Asolo Dico – sono più di 620 milioni. Di queste, 370 milioni sono esportate in tutto il mondo sulla base di un crescente successo. Il mercato delle bollicine tricolore più famose nel mondo vale ben 2 miliardi di euro di fatturato annuo. La metà di questo valore proviene dall’estero e rappresenta il 16% dell’export totale italiano. Il vino croato, insomma, approfitterebbe non soltanto della fama legata al nome ma anche del successo economico del concorrente italiano.
Veneto e Friuli sono le regioni dove ricade l’intero territorio delle denominazioni del Prosecco. Ecco perché il primo ad alzare la voce è stato il presidente della regione Veneto, Luca Zaia: «Noi siamo pronti, al fianco del governo, a una causa colossale contro questa iniziativa, perché ci stanno scippando un brand importante del nostro Paese, è come se volessero portarci via la Ferrari». Il governatore veneto ricorda «che l’Unesco ha nominato ufficialmente nel 2019 le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene patrimonio dell’umanità». Nella stesura del dossier italiano non verrà tralasciata la vicenda Tokaji. Lo promette Stefano Zannier, l’assessore regionale alle Risorse agroalimentari del Friuli Venezia Giulia. «La vicenda ha caratteristiche simili: allora l’Unione europea privilegiò il valore della denominazione rispetto a quello della storicità del vitigno per ammettere il riconoscimento del Tokaji ungherese a scapito del Tocai friulano», ricorda Zannier.
Anche in questo caso, la differenza tra le due tipologie di vino è abissale. Il Prosecco, infatti, è uno spumante metodo Martinotti (che svolge dunque la seconda fermentazione in autoclave), bianco (solo di recente è nata la versione rosa), ottenuto da uve Glera, declinato perlopiù dal brut all’extra dry. Un vero e proprio campione degli aperitivi. Il Prošek, viceversa, è un vino fermo dai riflessi ambrati e intensi, dolce, simile a un passito. Adatto al fine pasto, si abbina principalmente ai dessert ed è ottenuto dall’appassimento di varietà autoctone: Bogdanuša, Maraština e Vugava, talvolta con l’aggiunta di Plavac Mali. Viene vinificato nella Dalmazia centrale e meridionale in alcune decine di migliaia di bottiglie da piccoli produttori, soprattutto nell’isola di Hvar.
Gli eurodeputati croati assicurano che non vi è alcuna somiglianza tra i vini, né sul piano delle caratteristiche, né, tantomeno, su quello della produzione. Sarà pur vero, ma l’assonanza dei due nomi è considerata una minaccia da istituzioni e produttori italiani. Ieri, il commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, rivolgendosi al ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, nel corso del G20 sull’Agricoltura in corso a Firenze, ha assicurato: «Non abbiamo ancora autorizzato il Prosek. Aspetteremo vostre osservazioni. Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche».
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