In una recente intervista, Sabino Cassese ha detto di aver saputo da fonte attendibile che circa i due terzi delle persone sottoposte a giudizio risultano poi innocenti nel corso dei tre gradi di giudizio. I dati esatti non li conosciamo e proprio ieri i Radicali hanno chiesto, con una lettera aperta al Ministro Bonafede pubblicata da Il Dubbio, di fornirli. Nell’attesa sappiamo comunque che le percentuali sono molto elevate e certamente tali da imporre una riflessione sul perché di un fenomeno tanto diffuso e tanto pernicioso per il cittadino. Chiedono di riflettere, in particolare, sulle modalità con cui operano i guardiani dei cancelli dell’iniziativa penale, cioè i nostri pubblici ministeri (Pm).
Si può certamente dire che l’assetto del nostro Pm è fortemente deviante rispetto a quello degli altri Paesi a consolidata democrazia. Lo è sotto diversi profili. Poiché ho solo poco spazio a mia disposizione concentrerò la mia attenzione sugli aspetti di maggiore devianza, cioè quelli che più di altri contraddicono momenti rilevanti della funzionalità di uno stato democratico sia per quanto riguarda il controllo delle politiche criminali che la protezione dei diritti civili nell’ambito del processo penale. Lo farò tenendo ovviamente conto che i nostri pubblici ministeri operano in un contesto in cui vige il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale sconosciuto in altri Paesi, principio che è al contempo irrealizzabile e ciononostante gravido di implicazioni sul piano operativo.
Farò inizialmente riferimento al peculiare ruolo del nostro Pm nella fase investigativa. Una fase che è cruciale per la protezione dei diritti civili non solo perché di fatto vi è in questo settore dell’attività del Pm molta discrezionalità, ma anche perché quella discrezionalità è priva di reali, efficaci controlli. Il nostro Pm non solo è pienamente indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato, ma lo è in larga misura anche all’interno del suo ufficio. Ha anche il pieno ed esclusivo controllo gerarchico della polizia per la conduzione delle indagini (ce lo ha ricordato di recente anche la nostra Corte costituzionale). La polizia deve cioè operare seguendo esclusivamente le istruzioni del Pm. Quindi il Pm nella fase delle indagini è sostanzialmente un vero e proprio poliziotto pienamente indipendente, che certamente non è meno poliziotto per il solo fatto di chiamarsi Pm. Non esiste nessun paese a consolidata democrazia in cui il Pm sia pienamente indipendente ed abbia poteri di polizia tanto ampi ed incontrollati.
Sul piano operativo significa, tra l’altro, che di sua iniziativa il nostro Pm può svolgere, se lo vuole, indagini su ciascuno di noi con tutti i gravi ed irreparabili danni che questo comporta per il cittadino che poi risulti innocente. Si tratta di danni irreparabili sul piano sociale, economico, politico, familiare e della stessa salute come viene ricorrentemente documentato dalle cronache giudiziarie. Danni la cui angosciosa, drammatica, gravità ci è stata ricordata giorni fa anche dal presidente dell’Unione camere penali, Gian Domenico Caiazza, in un suo articolo dal significativo titolo: “L’assordante silenzio degli innocenti”. Se molti anni dopo il giudice di appello o cassazione riconosce che i motivi dell’azione penale o erano inconsistenti o non rilevanti sotto il profilo penale, nessuna responsabilità può comunque essere imputata, né è mai stata imputata ad un Pm, né sul piano disciplinare e neppure sul piano della valutazione della professionalità. Nei casi in cui si sono invocati quei tipi di responsabilità, esse sono state escluse con riferimento all’indipendenza del Pm e/o al fatto che in presenza della convinzione che vi fossero seri indizi di reato, il Pm era obbligato ad agire per non violare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, un principio costituzionale che quindi trasforma qualsiasi comportamento discrezionale e ingiustificato del Pm in un atto dovuto per legge.
Robert Jackson, quando era ancora Attorney General degli Usa (procuratore generale degli Stati Uniti, capo del Dipartimento della Giustizia n.d.r.), in un suo discorso del 1940 ai procuratori federali che da lui dipendevano, li avvertiva che nel ruolo del Pm è insito un pericolo, e cioè che potendo scegliere i casi, i Pm possono anche scegliere la persona ed indirizzare la polizia alla ricerca di possibili reati da lui commessi. È un fenomeno che riguarda tutti i Paesi ove i reati sono molto più numerosi di quelli che possono essere perseguiti, e quindi di fatto anche nel nostro, a dispetto dell’obbligatorietà dell’azione penale. La cosa che rende quel fenomeno più pericoloso nel nostro Paese è che i Pm degli altri paesi democratici sanno che i comportamenti scorretti vengono in vario modo sanzionati, mentre i nostri Pm sanno che i loro comportamenti non sono comunque soggetti a censure di nessun tipo.
Vengo ora al ruolo del Pm nella promozione dell’azione penale. È ormai un fatto pienamente riconosciuto anche in Italia che non tutti i reati possano essere perseguiti così come erroneamente creduto dal nostro Costituente e come previso all’art. 112 della nostra Costituzione. Il compito di scegliere quali reati perseguire viene di fatto lasciato alla libera ed indipendente valutazione dei nostri Pm, che in tal modo definiscono di fatto a livello operativo, senza trasparenza e senza responsabilità alcuna, gran parte delle politiche pubbliche del nostro Paese nel settore criminale. Anche questo non avviene in nessun paese a consolidata tradizione democratica (Inghilterra, Germania, Francia, Olanda, Austria, Stati Uniti, e così via) perché sarebbe ritenuto incompatibile con il principio che le politiche pubbliche debbono essere decise nell’ambito del processo democratico. Vale a riguardo ricordare quanto lapidariamente affermato dalla Commissione presidenziale francese a cui, nel 1997, il presidente Chirac aveva, tra l’altro, affidato il compito di esplorare la possibilità di sottrarre il pubblico ministero al controllo gerarchico del ministro della giustizia.
La Commissione liquidò la questione in poche parole ricordando che nessun paese era mai riuscito, né sarebbe mai potuto riuscire a perseguire tutti i reati. Che quindi sottraendo il Pm al controllo del Ministro si sarebbe anche demandato al Pm il compito di effettuare le scelte di priorità. Cioè scelte di politica criminale. Concludeva ricordando che in un paese democratico le politiche pubbliche in tutti i settori, e quindi anche nel settore criminale, devono essere definite da organi che ne rispondano politicamente. Un orientamento riaffermato anche di recente (2017) dal Conseil constitutionnel francese, in un giudizio promosso dal Syndicat de la Magistrature che da molto tempo vorrebbe che il Pm francese avesse gli stessi poteri del Pm italiano. Ho citato questo caso perché illustra la principale ragione per cui in tutti i paesi a consolidata democrazia l’organizzazione del Pm è gerarchica, unitaria e vede al suo vertice un soggetto politicamente responsabile del settore (di regola il ministro della giustizia, ma anche un altro soggetto come avviene in Spagna e Portogallo ove il capo dello Stato nomina un procuratore generale pro tempore su indicazione del governo).
Non posso qui trattenermi sulle misure che vari Paesi democratici adottano per evitare che un assetto più controllato dell’attività del Pm possa portare ad un uso distorto dei suoi poteri soprattutto per iniziativa del potere politico. È tema di grande importanza risolto in maniera differente da Paese a Paese e che non può certo essere trattato nell’economia di questo breve articolo.
Da ultimo, solo due riflessioni sui progetti di riforma costituzionale attualmente pendenti in Parlamento e volti a regolare le attività del Pm: uno predisposto dall’Unione delle camere penali e l’altro presentato dal senatore Vitali. La prima riflessione è che questi progetti di riforma prevedono la fissazione di priorità nell’esercizio dell’azione penale da parte del Parlamento senza indicare chi dovrebbe controllare il pieno rispetto di quelle priorità e come dovrebbero essere sanzionati i trasgressori. Ed è a dir poco difficile immaginare come questo possa avvenire in un regime di piena indipendenza esterna ed interna del Pm quale esso è attualmente e che non viene modificato in nessuno dei due progetti di riforma.
La seconda riflessione. Nelle relazioni delle due proposte di legge si riconosce che esiste un’incontrollata discrezionalità del nostro Pm nella fase delle indagini, ed era difficile non farlo visto che entrambe le relazioni hanno ampiamente copiato, pur senza dirlo, i miei scritti. Tuttavia nell’articolato non prevedono nessuna norma volta a rimuovere o attenuare i pericoli che al cittadino derivano dalla esistenza nel nostro Paese di un Pm che nella fase delle indagini è di fatto un poliziotto che può agire in piena indipendenza senza portarne responsabilità alcuna. Le ricorrenti tensioni che questo ha prodotto nel governo del nostro Paese e i danni che ha causato a moltissimi cittadini innocenti sono certamente ancor più gravi di quelli che possono derivare dalla assenza di priorità nell’azione penare che le norme di quei due progetti di legge costituzionale cercano di regolare.