I russi amano dire: “Pushkin è il nostro tutto”. Nonostante l’espressione possa sembrare a uno straniero un po’ esagerata, in realtà essa coglie il senso della storia russa. Anzi, si potrebbe dire che per spiegare la Russia, quello che essa è nelle sue contraddizioni, incomprensioni, sviluppi, aspirazioni e possibilità non vi possa essere scrittore migliore di Kiprensky Pushkin, la cui nascita e manifestazione creativa ha coinciso con l’ingresso della Russia nella storia europea.
Questo autore è considerato non solo l’iniziatore della letteratura russa ma anche il padre fondatore della lingua nazionale. A chi sapesse poco di letteratura Russa dopo un primo sguardo a wikipedia resterebbe sorpreso poiché Pushkin praticamente è nato l’altro ieri (ragioniamo in prospettiva storica). Infatti, l’età di Pushkin inizia nel 1799, data di nascita dell’autore dell’Oneghin e si esaurisce con un tragico duello nel 1837 per mano di uno sconosciuto francese, tale George d’Anthes.

Potrebbe pertanto sembrare strano che la letteratura di un così grande paese inizi così tardi rispetto ad altre tradizioni letterarie mondiali. Basti pensare che inglesi onorano Shakespeare da oltre quattrocento anni mentre noi italiani recitiamo Dante da sette secoli.
Come direbbe un indimenticabile presentatore italiano del recente passato “la domanda nasce spontanea”: in che lingua parlavano e scrivevano i russi prima di Pushkin? Si esprimevano a gesti? Usavano segni cuneiformi per annotare i documenti ufficiali? Che cosa era successo in Russia fino ad allora? Diamo subito la risposta più vera ma anche un po’ banale: le classi sociali più elevate parlavano il francese e mal conoscevano la propria lingua nazionale. Basti pensare che uno dei libri più famosi della letteratura russa, Guerra e Pace, raccontando i fatti dell’epoca inizia con una discussione in francese tra nobili russi.
Ma se il francese era la lingua della koiné dell’epoca, un po’ come oggi è l’inglese, per rispondere all’altra domanda, quella su cosa facesse il paese sino a quel momento possiamo utilizzare, decontestualizzandole, le parole di un noto diplomatico russo del diciannovesimo secolo, Alexander Gorchakov, e dire che la Russia, fino ad allora, si stesse concentrando…

La questione linguistica faceva il paio con l’epopea politica o, come si direbbe oggi, geopolitica, poiché nello stesso periodo la Russia entrava nella storia dell’Europa continentale, con le guerre napoleoniche (la Guerra Patriottica del 1812), da cui esce vittoriosa. E pertanto come spesso accade la potenza politica coincide con la potenza culturale, o “soft power”. E sotto questo punto di vista sembra una vendetta della Storia che sia stato un francese a uccidere l’autore che aveva traghettato il paese fuori la palude dell’irrilevanza culturale.
Ma cosa si sapeva dei russi prima di Napoleone e di Pushkin? Certo i russi si erano già scontrati con popoli europei, più volte con svedesi, polacchi, turchi. Tuttavia, al cittadino fiorentino o parigino del tempo probabilmente quei conflitti sarebbero sembrati lontani e periferici, destando il medesimo interesse che potrebbe avere oggi un conflitto in una parte remota del globo.
I russi però hanno sempre avvertito questa arretratezza e irrilevanza culturale. Da questo sentimento nel corso dei secoli sono venuti fuori dibattiti. Al primo di questi confronti partecipò lo stesso Pushkin. Lo sfidante era, in questo caso un connazionale, il filosofo Petr Chaadaev, che appunto proclamava nelle sue “Lettere filosofiche” la mancanza di originalità nella produzione culturale e scientifica del proprio paese.
A questa mancanza di rispetto il nostro paladino della “russità” diceva che la Russia per quasi tre secoli, quello del dominio mongolo, si era sacrificata per l’amore dell’Europa nell’assorbire all’interno dei propri confini le orde dei barbari che avrebbero travolto il vecchio continente.

È singolare che un centinaio di anni dopo Karl Marx, nel suo “Storia diplomatica segreta del XVIII”, affermi che i secoli di dominazione mongola della Russia ne abbiano formato il carattere nazionale…
Un altro grande pensatore tedesco, Hegel, sul tema scriveva che sino alla prima metà del XIX secolo la Siberia, cioè la gran parte del territorio russo era rimasta fuori dalla Storia. Possiamo solo immaginare come avrebbe potuto sentirsi il povero Dostoevskj nel leggere una frase simile, mentre era condannato ai lavori forzati ad Omsk, in Siberia appunto.
Ma torniamo al processo di “concentrazione” della Russia e a Pushkin. Fino al suo esordio letterario, a causa della europeizzazione forzata voluta da Pietro il Grande agli inizi del ‘700, l’aristocrazia russa viveva in mondo del tutto separato dal popolo russo e dalle sue tradizioni, nell’universo culturale – linguistico e letterario – francese. Vi era di fatto un fossato incolmabile tra il popolo che parlava il russo e l’aristocrazia che usava l’idioma francese. Toccò quindi a Pushkin colmare questo fossato dando ai russi una lingua di cui essere orgogliosi.
Queste considerazioni trovano un riscontro in un passo di una delle opere più note di Pushkin che è “La dama di picche”. In questo libro, nel corso di una conversazione, uno dei personaggi principali, un’anziana contessa, chiede al nipote di portarle un libro da leggere. Questi nel chiederle se per caso volesse un romanzo russo si sente rispondere dalla stupita zietta: “Perché davvero esistono romanzi russi?”. In questo interrogativo, si sintetizzava la storia della lingua russa e della sua letteratura, ma anche il complesso d’inferiorità delle élite russa nei confronti di quello che chiameremmo oggi “Occidente” che all’epoca era rappresentato dalla Francia.

Da Pushkin in poi, invece, qualsiasi altra contessa avrebbe cominciato a leggere letteratura in lingua russa.
Ma come avrebbe fatto Pushkin a fare tutto questo? Sicuramente v’è da dire che questa manifestazione di genio apparentemente improvvisa, simile ad una esplosione, non nasce dal nulla, come nulla esplode senza una specifica causa deflagrante, ma è il frutto di processi storici di assorbimento e successiva elaborazione e manifestazione di influenze culturali assai diverse a cui la Russia si è trovata sottoposta durante la sua storia. Vi è stato pertanto un processo di formazione di una cultura nazionale frutto della commistione di varie tradizioni, la slava, la normanno-vichinga, la ortodosso-bizantina e quella tataro-mongola, sotto il cui giogo le genti russe sono state sottoposte per quasi 250 anni. Su questa pluristratificazione culturale dal ‘700 in poi si è inserita la tradizione europea che ha contribuito a darne forma. Pushkin intriso, durante la prima parte della sua vita, delle tradizioni russe mutuate dalle favole e storie che gli raccontava la sua governante Arina Rodionovna ne colse l’originale bellezza e con la maturazione iniziò a narrarle, con le forme e l’eleganza che nel frattempo aveva assorbito dall’educazione di stampo europeo.
La Russia era stata fino a quel momento quasi come un bambino che non riesce a parlare i primi suoi anni di vita ma assorbe dall’ambiente circostante i concetti base senza però potersi esprimersi a parole. Poi all’improvviso, per la felicità dei genitori, comincia a pronunciare le parole “mamma”, “papà” e tutto il resto. Ebbene, Pushkin è stata la voce di quel bambino.

Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro

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