La prima giornata moscovita del cardinale Matteo Maria Zuppi è trascorsa tra pochissime indiscrezioni e il riserbo che caratterizza una missione diplomatica estremamente complessa. A trapelare, una foto dell’inviato di Papa Francesco inginocchiato davanti all’icona della Madre di Dio di Vladimir. Poi l’annuncio del portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, sull’incontro tra il cardinale e il consigliere di Vladimir Putin, Yury Ushakov. Due persone che si possono definire agli antipodi.

Il primo, un arcivescovo italiano legato alla comunità di Sant’Egidio e impegnato da sempre nei più difficili percorsi per la pace. Il secondo, un funzionario diplomatico che ha iniziato la sua carriera ai tempi dell’Unione Sovietica e con un passato da ambasciatore tra capitali occidentali e Stati Uniti. La missione diplomatica del cardinale è iniziata dunque con questi toni: incontri difficili e allo stesso tempo carichi di aspettative. La pace in Ucraina è uno scenario ancora lontano nel tempo, e lo dimostrano le notizie che giungono dal Paese. Il bilancio dell’attacco missilistico russo contro un ristorante di Kramatorsk, nel momento in cui scriviamo, è salito a undici morti (oltre cinquanta i feriti).

Il portavoce del Cremlino ha risposto alle accuse di crimini di guerra dicendo che «la Russia non attacca infrastrutture civili, ma strutture collegate in un modo o nell’altro a infrastrutture militari». Intanto, altri tre morti sono stati registrati nella regione di Kharkiv, sempre per un raid. Tra attacchi russi e operazioni ucraine per rinvigorire la controffensiva, parlare di pace a Mosca appare un gesto quasi disperato. Eppure, Papa Francesco, inviando il cardinale Zuppi, ha voluto lanciare un segnale di speranza per aprire una finestra di dialogo, anche solo a scopo umanitario.

Il Cremlino, nonostante Putin sia apparso in Daghestan, ha mostrato una certa apertura verso l’iniziativa vaticana, anche solo per evitare di farsi vedere troppo rigido in una fase così oscura e di isolamento. «In generale, abbiamo già detto più volte di apprezzare molto gli sforzi e le iniziative del Vaticano per trovare una soluzione pacifica alla crisi, e accogliamo con favore questa volontà del Papa di contribuire a porre fine al conflitto» ha detto Peskov. Di diverso avviso la parte ucraina, con il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak che, proprio nelle ore in cui Zuppi iniziava i suoi incontri a Mosca, ha scritto su Twitter che la Russia «è un attore con cui non si può negoziare» e che «non bisogna perdere tempo con autoinganni e illusioni». Le visioni appaiono dunque opposte. Ma il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Andriy Yermak, aveva auspicato «il coinvolgimento del Vaticano nello scambio di prigionieri e nel ritorno dei bambini».

E per la missione pontificia, che cerca soprattutto un terreno comune su cui Kiev e Mosca possono parlare, ogni passo in direzione di una fragile collaborazione appare cruciale. Specialmente sul fronte umanitario. Il terreno religioso, in questo senso, può essere importante. La guerra di Putin ha avuto uno dei maggiori sponsor nella figura del patriarca di Mosca, Kirill, persona che nel 2016 aveva avuto modo di incontrare Francesco nello storico faccia a faccia all’aeroporto internazionale di L’Avana, a Cuba. In quell’occasione i due leader religiosi avevano firmato una dichiarazione comune in cui la parola “pace” appariva undici volte.

E in particolare sull’Ucraina, si invitavano «tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace». Le condizioni oggi sono certamente diverse. L’invasione ha rovesciato tutto e lo stesso Francesco ha esortato Kirill a non essere il «chierichetto di Putin». Tuttavia, se molti analisti dubitano che patriarcato e Cremlino possano dividersi, la speranza è che il cardinale Zuppi possa quantomeno provocare un ripensamento sul lato umanitario. In una Mosca ancora traumatizzata da quanto accaduto sabato scorso, con il capo della Wagner Evgenij Prigozhin ancora al centro della scena, è difficile capire quale possa essere in questo momento il vero obiettivo della presidenza e degli apparati russi. Molti osservatori credono che la guerra interna al potere sia appena iniziata, e che è ancora molto presto per comprendere i risultati concreti di questa rivolta dei mercenari. La Wagner continua a esistere, e la presenza del suo fondatore in Bielorussia preoccupa i Paesi vicini. Per “don Matteo”, la strada è in salita: ma questo non sembra frenare né lui né Francesco.