Non è stata una messinscena
Putin è ferito ma il putinismo vive: la Gomorra russa, le ambizioni di Prigozhin e le presidenziali 2024
Se per liberarci di Putin dobbiamo sognare Prigozhin, allora non abbiamo capito nulla né della Russia né delle conseguenze che un simile scenario implicherebbe per l’Europa e l’Occidente
La “marcia su Mosca” del Wagner Group e del suo leader Evgenij Prigozhin non è stata una abile messinscena della verticale del potere russo né tantomeno una ben recitata pièce teatrale. Sgombriamo il campo da ogni dubbio: al di là dei risultati raggiunti, che comprenderemo meglio nelle prossime settimane, la minaccia portata dai mercenari al cuore del Cremlino era, nelle intenzioni, autentica e concreta. Prigozhin e il Wagner Group, due creature dell’alchimista Putin, si sono ribellate al loro creatore sfruttando le crepe nel sistema di potere di Mosca originate dall’andamento non esaltante dell’invasione dell’Ucraina. Crepe profonde e trasversali, a livello economico, sociale, militare e politico, magari non ancora sufficienti a far desistere l’invasore russo ma che ne hanno esposto fragilità e contraddizioni.
Nel sottile gioco del divide et impera alla base del potere putiniano, il banco è saltato quando il padrone del Cremlino ha ceduto alle pressioni delle Forze Armate, autorizzando un decreto che obbligava le compagnie militari private, Wagner incluso, a firmare un accordo di subordinazione alla Difesa. In questo modo, le ambizioni di Prigozhin si sarebbero disintegrate ed il suo lento ma inevitabile declino sarebbe iniziato. L’ex “cuoco di Putin” non ha voluto accettare questo destino e, dopo mesi passati ad attaccare frontalmente i vertici dell’Armata Russa e a sognare (forse) una candidatura alle presidenziali del 2024, si è giocato il tutto per tutto. In fondo, non aveva più nulla da perdere e poteva contare su alcuni fattori a suo favore: lo scarso presidio del territorio russo, una certa simpatia popolare, la presenza di fiancheggiatori sinora oscuri provenienti dal mondo degli oligarchi, da quello militare e dei servizi segreti. Tante anime, tutte diverse ma accomunate dall’acredine nei confronti di Putin e dal desiderio di modificare gli equilibri di potere senza sostituire la sua intima essenza autoritaria. Nessuna riforma, dunque, nessun anelito democratico o liberale. Al contrario, una lotta tra clan che rievoca il fragile caudillismo sudamericano o addirittura le faide criminali ben raccontate da inchieste e serie televisive. La Russia come Gomorra o Suburra, in una parola.
Proprio per questo, sarebbe sciocco soffermarsi a vedere il “dito” Prigozhin e non la Luna che indica. Prigozhin può essere un pupo, i pupari sono altrove e rappresentano loro la vera sfida al potere di Putin. Il Presidente russo non esce bene da questa bizzarra vicenda. Il suo sistema di potere si è dimostrato debole e permeabile. Il Wagner ha viaggiato per centinaia di km senza incontrare una resistenza degna di questo nome, ha preso il controllo di Rostov sul Don senza sparare un colpo e si è fermato a 200 km da Mosca soltanto dopo l’apparente mediazione del Presidente bielorusso Lukashenko. Putin ha inveito contro i traditori, minacciando conseguenze terribili, salvo poi lasciare Mosca alla volta di San Pietroburgo, prepararsi a chiedere il supporto delle truppe bielorusse, sentirsi rifiutare una richiesta d’aiuto al Kazakistan ed infine cedere ad un pericoloso patto riparatore. L’uomo più forte della Russia, lo Zar che doma tigri e “porta in salvo l’antico vaso” per qualche ora è apparso confuso, preoccupato e solo.
Se si cercano vincitori, questo non è il caso e non è il momento. Non si è ancora posata la cenere dell’eruzione. Prigozhin non è stato neutralizzato e, anche se il suo destino appare appeso ad un filo, può raccontare di aver sfidato Putin e i Generalissimi Shoigu e Gerasimov senza essere ucciso nel mentre. Le Forze Armate e la leadership politica hanno mostrato al mondo la loro fragilità e la loro ricattabilità nei confronti delle compagnie di mercenari. Uno scenario da medioevo “moderno”.
Ora bisognerà decidere il destino del Wagner Group: subordinarlo in patria e lasciarlo libero all’estero (soprattutto in Africa), smantellarlo o semplicemente sostituirlo con altre compagnie militari private. Il problema è che il Wagner Group è soltanto un tassello di un impero di società di investimento, società di comunicazione, società di servizi informatici, aziende attive nel settore energetico e minerario. Il Wagner è il principale strumento di influenza russa in Africa e sostituirlo non è così agevole senza avere conseguenze nell’immediato.
Parallelamente, Putin ha la massima urgenza di ricostruire la propria immagine, la propria legittimità e la propria forza nel Paese. Tutto questo mentre è in corso la guerra in Ucraina. Non sarà facile, soprattutto perché il Presidente russo ora è consapevole più di prima di avere una fitta schiera di congiurati pronti a colpirlo. È ferito, ma il sistema di potere che ha creato non è facile da smantellare. Nei prossimi mesi, la Russia avrà due campi di battaglia in cui cimentarsi: quello ucraino e quello dei giardini del Cremlino, strettamente connessi e legati l’uno all’altro. Forse è giunto il crepuscolo per Putin. Forse è solo l’inizio di una caccia spietata con tanto di grandi purghe e notti dei lunghi coltelli all’orizzonte. Putin è duro a morire, più di quanto in Occidente potremmo desiderare. Il putinismo lo è ancora di più.
In tutto questo, lascia francamente basiti l’onda di giubilo sollevatasi in Occidente e in alcune parti del fronte di opposizione russa. Prigozhin è stato percepito, talvolta, come il salvatore della Patria, come il cavaliere senza macchia e senza paura che ci avrebbe liberato dal Drago Putin e che avrebbe portato libertà, democrazia e benessere in Russia nonché la fine della guerra in Ucraina. Nulla di più falso. Prigozhin è un estremista se paragonato a Putin ed ha posizioni molto più oltranziste per quanto riguarda il conflitto in Ucraina. Se per liberarci di Putin dobbiamo sognare Prigozhin, allora non abbiamo capito nulla né della Russia né delle conseguenze che un simile scenario implicherebbe per l’Europa e l’Occidente.
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