Il 19 settembre i parlamentari italiani – chiamati a inaugurare la recente elezione a Strasburgo con un voto su una risoluzione a sostegno della resistenza ucraina – erano consapevoli dell’importanza del giorno dopo, di quella ricorrenza del 20 settembre, quando nel 1870 i bersaglieri entrati dalla Breccia di Porta Pia riconsegnarono Roma all’Italia. Oggi chiameremmo quel colpo di mano “operazione militare speciale” che fu ritenuta possibile perché Napoleone III era stato sconfitto un paio di settimane prima (1/2 settembre) a Sedan.
I protagonisti erano più o meno gli stessi bersaglieri che il 29 agosto 1862, per ordine del governo Rattazzi, avevano fermato i volontari di Garibaldi sull’Aspromonte mentre marciavano per prendere Roma. L’Eroe dei due Mondi aveva combattuto di qua e di là dagli oceani, a lui nel 1861 Abraham Lincoln aveva offerto il comando dell’esercito dell’Unione, ma toccò al piombo italiano azzopparlo in modo permanente. Che cosa avranno pensato in quel momento i nostri europarlamentari? Essendo impegnati in una votazione importante, non avrebbero potuto consentire che i quotidiani – il giorno dopo – raccontassero agli italiani che i loro rappresentanti non erano stati all’altezza di quella prova di unità che la ricorrenza pretendeva. Era però chiaro a tutti che alcune forze politiche non avrebbero mai votato quel documento. Occorreva trovare il massimo comun divisore di tutte le posizioni in campo. In quest’occasione i leader nazionali sanno dare le indicazioni (in)opportune.
Siamo o non siamo il paese dell’8 settembre? È in quel numero fatidico che si può trovare la soluzione. Secondo la cabala il numero 8 si riferisce alla Madonna, ma può avere tanti altri significati molto più consoni, come deretano e faccia. Che cosa prevede questo “punto G” del destino? «Invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo». «Non sia mai», dicono all’unisono i capi e le “cape” da Roma. Si sarebbe potuto obiettare loro che quel testo conteneva l’indicazione più significativa di tutto il documento, per sentirsi rispondere: «Appunto. Votando no a Strasburgo troviamo una giustificazione in più per dire no anche a Roma». Il Pd, FI e i Verdi sono stati tanto determinati nel disarmare Kiev che hanno votato – salvo qualche onorevole defezione in presenza o in assenza dall’Aula – in maniera difforme dai loro partiti di riferimento a livello europeo.
Sarebbe il caso di aprire un dibattito su un tema interessante, fino ad ora eluso: è la sinistra che ha votato come la destra oppure è avvenuto il contrario? Per quanto ci riguarda, le risposte attese le abbiamo avute. Ci chiedevamo che cosa avesse indotto il governo a scegliere una posizione fasulla e insostenibile come il divieto costituzionale e perché le opposizioni si astenessero dal criticare, su questo punto, le evidenti ambiguità della maggioranza. Ora l’abbiamo capito. Putin è tra noi: proto-fascisti, neo-resistenti, sovran-populisti, europeisti a metà, patrioti, pacifinti, autonomisti differenziati, centralisti e quant’altro. Le vie del Signore sono infinite. E noi, al solito, le percorriamo tutte.