Quando su un impero incombe uno stato di crisi, ci si può difendere attaccando, si possono cercare alleati, oppure si può rivisitare la storia per pescarvi un mito, un racconto capace di unire tutta la comunità.
Del resto, mito e nemico hanno sempre costituito elementi indispensabili alla fondazione e spesso alla vita delle nazioni. Mobilitare il popolo senza affidarsi a passioni profonde è impossibile. Mantenere in vita una nazione senza che esistano legami ‘sentimentali’, radici che unificano la collettività, un ‘idem sentire’ lo definì Renan, apre il varco a uomini (donne) soli al comando e di filato a una società slabbrata, senza una strategia di futuro. Il domani affonda sempre le radici nel passato, non c’è nulla da fare. Orwell docet: chi controlla il passato, controlla il futuro.
I francesi nel 1914 e gli inglesi nel 1940 fecero esattamente questo per fronteggiare la guerra. Anche il governo italiano nel 1915 seguì la medesima strada. Nella Triplice Intesa per portare a compimento il processo incompiuto del Risorgimento, andare a riprendersi Trento e Trieste. Nulla di nuovo, insomma, nulla di diverso da quanto fatto dall’impero cristiano bizantino di fronte all’offensiva ottomana nel ‘400. La rappresentazione plateale del mito è nell’ icona del trionfo dell’ortodossia (Costantinopoli, attorno alla fine del 1300), la rivisitazione del passato attraverso un’opera d’arte per implorare l’aiuto divino. L’unità tra passato, presente e futuro di faccia al pericolo.
E oggi? Proprio il cammino intrapreso da Putin nella narrazione rivolta alla sua gente, anche lui si muove lungo lo stesso crinale: la società russa è migliore della società occidentale, ha valori più sani, basta rileggere il passato russo. Di più: l’Ucraina non esiste come nazione, è una nostra appendice, sfogliare i libri di storia.
L’icona bizantina non salvò Costantinopoli. La città cadde in mano ai turchi nel 1453, la cattedrale di Santa Sofia venne trasformata in moschea. Nasce l’impero ottomano.
Vada come vada, Putin non avrà un destino diverso dalla sorte toccata alla seconda Roma. Putin la guerra l’ha persa comunque. La Grande Russia è un sogno che non si avvererà, non basta la rievocazione del mito a generare un impero se l’economia non tira e se non hai nessun ruolo nel definire il moderno canone della conoscenza. Il rischio che l’autocrate corre non è soltanto personale, è di più vasta entità, coinvolge un popolo e una nazione proprio in una stagione delicata, un tempo di cambiamenti rapidi e violenti. La fine del topo.