La mossa dello zar
Putin lancia il referendum in Donbass per l’annessione alla Russia: guerra a rischio escalation
Lo zar sgancia la “bomba referendaria”. E con essa ridà corpo all’incubo più grande quello della bomba nucleare. Il primo ad annunciare la convocazione del referendum “sull’ingresso della Repubblica popolare di Luhansk nella Federazione russa” è stato il Consiglio del popolo della regione dell’Ucraina orientale, il cui presidente, Denis Miroshnichenko, ha spiegato che il quesito sulle schede sarà: “Siete a favore che la Repubblica di Luhansk si unisca alla Federazione russa come entità costituente”.
Dopo il suo annuncio, il presidente della Repubblica popolare di Luhansk, Leonid Pasechnik, ha firmato il provvedimento per la convocazione del referendum. Qualche minuto dopo anche la Repubblica popolare di Dontesk ha fissato il voto per gli stessi giorni, con il leader Denis Pushilin che ha spiegato che la consultazione si terrà “con un formato misto, di persona e da remoto, tenendo conto delle questioni di sicurezza”. Pushilin ha scritto direttamente al presidente russo Vladimir Putin: “Nel caso di una decisione positiva a seguito del referendum, di cui non dubitiamo, le chiedo di prendere in considerazione la questione dell’adesione della Repubblica popolare di Donetsk alla Federazione Russa il prima possibile. Il popolo del Donbass, che ha sofferto a lungo, meritava di far parte del grande Paese che ha sempre considerato la sua madrepatria. Questo evento ripristinerà la giustizia storica, che milioni di persone russe desiderano”. Infine, l’annuncio dell’amministrazione filorussa della città di Kherson – la prima a essere occupata dalle forze di Mosca all’inizio della guerra – che ha fissato il voto da venerdì a martedì prossimi solo qualche ora dopo che il Consiglio civico aveva presentato un’iniziativa per celebrare il referendum per l’annessione alla Russia, che “garantirà la sicurezza nel territorio della regione”. Il tutto avverrà tra il 23 e il 27 settembre prossimi.
Le notizie giungono dopo che il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha ribadito che spetta agli abitanti delle zone occupate decidere quale debba essere il loro status. Mentre il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, l’ex premier Dmitri Medvedev, è tornato a caldeggiare la celebrazione dei referendum indipendentisti nelle repubbliche separatiste del Donbass: “Sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti della Repubblica del Lugansk e del Donetsk e di altri territori liberati, ma anche per il ripristino della giustizia storica“, ha scritto sul proprio canale Telegram, affermando che “dopo la loro implementazione e l’accettazione di nuovi territori in Russia, la trasformazione geopolitica diventerà irreversibile. Ecco perché” – conclude – “questi referendum sono così temuti a Kiev e in Occidente. Ecco perché devono essere fatti”.
Immediata la reazione di Kiev. “Fanno un ricatto ingenuo con minacce e storie dell’orrore di ‘referendum’ e ‘mobilitazioni’ di chi sa combattere solo contro bambini e persone pacifiche. Ecco come appare la paura della sconfitta. Il nemico ha paura, manipola primitivamente. L’Ucraina risolverà la questione russa. La minaccia può essere eliminata solo con la forza”. Così il capo dell’Ufficio del presidente ucraino Zelensky, Andriy Yermak, commenta su Telegram l’annuncio di referendum nelle regioni occupate. Linea ribadita dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, che in un tweet afferma: “I referendum farsa non cambieranno nulla. Né lo farà qualsiasi ‘mobilitazione’ ibrida. La Russia è stata e resta un aggressore che occupa illegalmente parti del territorio ucraino. L’Ucraina ha tutto il diritto di liberare i suoi territori e continuerà a liberarli qualsiasi cosa dica la Russia” . “I russi hanno deciso di rispondere in modo asimmetrico alla controffensiva dell’Ucraina. Pensano che il ’referendum’ illegale impedirà agli Himars e alle forze armate di distruggere gli occupanti sulla nostra terra. Volete davvero passare il tempo necessario per scappare per un nuovo spettacolo? Provate, sarà interessante”, su twitter Mikhailo Podolyak, consigliere del presidente Zelensky.
“Senza i referendum, c’è ancora una piccolissima chance di una soluzione diplomatica. Dopo i referendum, no”, avverte in serata il portavoce dell’ufficio della presidenza ucraina, Serhiy Nykyforov, citato da Liga.net. “I referendum farsa non hanno alcuna legittimità e non cambiano la natura della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Questa è un’ulteriore escalation della guerra di Putin. La comunità internazionale deve condannare questa palese violazione del diritto internazionale e rafforzare il sostegno all’Ucraina”. A scriverlo in un tweet è il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Da Washington l’amministrazione Biden osserva con apprensione le mosse di Mosca: se i territori del Donbass venissero annessi, ogni attacco ucraino potrebbe rientrare nella “dottrina difensiva” della Russia che prevede l’uso di armi atomiche. Domenica sera, in una intervista a 60 minutes della tv Cbs, Biden aveva ammonito i russi: non usate le atomiche o la nostra reazione sarà durissima. D’altro canto, è stato lo stesso Putin a fornire la chiave di lettura che ha fatto scattare l’allarme rosso al Pentagono: la “dottrina difensiva” della Russia prevede anche l’uso di armi nucleari se “viene minacciato il territorio nazionale”.
E se di quel territorio entrano unilateralmente a far parte le regioni filorusse dell’Ucraina… Oggi si attendono altri segnali dall’Assemblea generale dell’Onu, iniziata ieri mattina a New York. Interverranno sia Zelensky che Biden la richiesta di referendum arriva mentre le truppe di Kiev avanzano e, dopo aver recuperato la provincia di Kharkiv, nelle ultime ore hanno anche conquistato un piccolo, ma importante villaggio nella regione di Lugansk. Nel frattempo, la Duma, la camera bassa del Parlamento russo, ha approvato ieri una serie di emendamenti al codice penale che prevedono il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione”, “legge marziale”, “tempo di guerra” e “conflitto armato”. Per la renitenza alla leva è prevista una pena fino a dieci anni di reclusione. A riferirlo è l’agenzia Ria Novosti. Gli emendamenti andranno in votazione oggi al Consiglio della Federazione, il Senato russo prima di essere promulgati dal presidente Vladimir Putin.
© Riproduzione riservata