Putin mette la kefiah e intercetta missili in Siria: in Israele o due Stati o è guerra totale

Russian President Vladimir Putin speaks at festive reception of the BRICS Summit in Kazan, Russia, Wednesday, Oct. 23, 2024. (Alexander Nemenov, Pool Photo via AP)

Era attesissimo l’intervento del Presidente Vladimir Putin al vertice dei Brics (il gruppo delle economie emergenti) di cui fanno anche parte Cina, Brasile, India, Egitto, Etiopia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran e Sudafrica, ospitato nella città russa di Kazan, capitale del Tatarstan. Il leader del Cremlino non ha deluso le attese, affermando senza riserve che “è in corso il processo di formazione di un ordine mondiale multipolare, un processo dinamico e irreversibile”, soggiungendo in netta critica alle sanzioni occidentali che il “il dollaro viene usato come un’arma e questo è un errore”, attribuendo dunque la responsabilità dell’attuale crisi globale all’atteggiamento occidentale, con molti sottintesi che chiamano in causa direttamente la strategia di Washington.

Putin si è anche soffermato sulla crisi in Medio Oriente, molto più che sull’Ucraina, criticando i bombardamenti a Gaza e in Libano, appoggiando nettamente la soluzione dei due Stati, senza la quale non vi è alcuna via d’uscita dalla situazione attuale che rischia di degenerare in una “guerra totale”. I rapporti tra Russia e Israele sono precipitati all’indomani dell’invasione di Gaza, e mai come in questa fase Mosca e Gerusalemme si trovano distanti su tutto. Un rapporto quello tra i due paesi che ha vissuto sempre alti e bassi, senza dimenticare che l’Unione Sovietica di Stalin fu il primo paese a riconoscere de iure lo Stato d’Israele, il 17 maggio 1948, due giorni dopo la sua proclamazione. Gli Stati Uniti furono il primo paese de facto proprio mentre David Ben Gurion annunciava la nascita dello Stato ebraico, cosi come disciplinato dalla spartizione decisa dalle Nazioni Unite e sostenuta da Stati Uniti e Unione Sovietica. Anche in tempi recenti Israele è stato l’unico paese alleato degli Stati Uniti a mantenere i rapporti con Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina e l’avvio delle sanzioni, e Netanyahu è stato il leader che ha incontrato più volte Putin, secondo solo a Xi Jinping.

Nella turbolenza del conflitto in Medio Oriente è passata anche inosservata una notizia proveniente dalla Siria, paese che ad oggi si regge proprio sul supporto di Russia e Iran (la testa della piovra che Israele sembra intenzionata a colpire al più presto), dove ben 13 missili lanciati da Israele sono stati intercettati dalla contraerea russa con i sistemi S-400 d’istanza nella base navale di Tartus, indirizzati certamente a qualche istallazione in Siria dei Pasdaran iraniani. Un messaggio che Mosca ha voluto indirizzare non tanto a Israele quanto all’alleato americano. Ma i nuovi equilibri hanno sparigliato le carte e messo in crisi anche le vecchie e rodate regole della diplomazia. Dal vertice dei Brics, che continuano a crescere, sorgono però diversi interrogativi che non possono più essere ignorati, perché quello che con troppo zelo definiamo il sud del mondo esiste e non è più intenzionato ad essere spettatore del proprio destino.

Già da tempo mostrava le sue insofferenze ma ora questi paesi hanno anche i mezzi e la forza economica per far sentire il proprio peso e il proprio rilievo globale. Inoltre la sfida dei Brics è una partita che l’occidente non può giocare con le lenti sfocate del passato, quindi escludendo i nuovi attori dalle dinamiche internazionali. Il mondo è cambiato e un nuovo ordine globale sembra inevitabile, un “new order” che non può essere scritto senza il coinvolgimento di quei paesi che hanno rappresentato anche importanti satelliti per l’Occidente. Il rischio altrimenti e di lasciare mano libera alla Cina con inevitabili drammatiche conseguenze.

Inoltre è sotto gli occhi di tutti che la composizione dei Brics ha ad oggi connotazioni importanti nello scacchiere medio orientale, con la Turchia che valuta se compiere il passo ed entrare anch’essa in questo gruppo di potenze, molte delle quali hanno nel loro dna la vocazione imperiale. L’ingresso di Ankara rappresenterebbe anche una netta lesione negli attuali paradigmi, essendo la Turchia seppur con atteggiamento del tutto sui generis un membro della Nato, candidato ad entrare da lunghissimo tempo nell’Unione Europea. Sul piano economico i Brics hanno aperto una sfida diretta all’Occidente e alla sua guida del mondo creando nel 2015 la New Development Bank con 50 miliardi di capitale, 33 miliardi dei quali già investiti in progetti nel circuito dei Brics. Di più i Brics puntano a sostituire persino il pagamento in Swift, osteggiato da Mosca come simbolo del dominio occidentale, vista anche l’espulsione della Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina. Molto ci diranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ma in questo caso tutto l’occidente è chiamato ad interrogarsi sul “che fare?” che in questo caso coincide molto sul come edificare le premesse del prossimo futuro.