La guerra Russia-Ucraina
“Putin prenderà il Donbass e poi si potrà fare la pace”, parla il generale Mauro Del Vecchio
Ha tutti i titoli per parlare di guerra e di Nato. Per l’esperienza maturata sul campo e anche per il suo impegno parlamentare. Il generale Mauro Del Vecchio ha guidato la Brigata Bersaglieri Garibaldi in Bosnia, Macedonia e Kosovo tra il 1997 e il 1999, e poi la Scuola di Applicazione dell’Esercito. Da Generale di Corpo d’Armata ha comandato dal 2004 al 2007 il Corpo d’Armata di Reazione Rapida Italiano della Nato, e ha guidato le forze Nato in Afghanistan (Isaf) nel 2005-2006. Nel settembre 2007 è stato nominato al vertice del Comando Operativo di Vertice Interforze (Coi). L’anno successivo, lasciato il servizio attivo, viene eletto senatore nelle fila del Partito Democratico, incarico ricoperto presso la Commissione Difesa fino al marzo 2013. Forte della sua esperienza, il messaggio lanciato al presidente Usa, Joe Biden, è chiaro: la pace si fa col nemico, demonizzarlo non aiuta.
Putin alla conquista del Donbass. La guerra in Ucraina è entrata, come sottolineato anche dal governo di Kiev, nella sua “seconda fase”. Generale Del Vecchio, che fase è quella che si è aperta?
Si può ritenere che quella che sta maturando sul campo sia la conclusione a cui Putin aspirava sin dall’inizio. La causa principe di questa operazione è stata proprio il Donbass, a cui si aggiungono le aspirazioni russe sulla Crimea e la richiesta di assoluta neutralità dell’Ucraina. Sulla neutralità, si tratta di una richiesta ormai di fatto acquisita, perché i Paesi occidentali hanno fatto intendere chiaramente che l’Ucraina non poteva prima e non può oggi in queste condizioni accedere alla Nato. Quello della Crimea rimarrà, a mio modo di vedere, ancora un aspetto particolarmente delicato, ma era il Donbass, probabilmente fin dal primo momento, l’obiettivo principale del presidente Putin. Se così è, e mi pare che vi siano importanti riscontri incrociati, siamo arrivati al dunque della tragica vicenda che stiamo vivendo.
Che vicenda è stata, e continua ad essere quella che si sta consumando in Ucraina, generale Del Vecchio?
È stata, è, una vicenda che ha registrato delle cose che non potremo mai dimenticare. Perché un conto è parlare di guerra in senso astratto, altro è vedere sul terreno in cosa si traduce. E questa è una cosa terribile. Perché in questa guerra quelli che stanno soffrendo le pene dell’inferno non sono di certo le formazioni militari, da una parte o dall’altra, ma a soffrire è stata una nazione intera. Le immagini che ripetutamente vediamo dai nostri reporter sono terribili. Sono le città quelle che hanno pagato di più le conseguenze di questa guerra. Sono le persone, i civili. Come si può non inorridire di fronte a quelle manifestazioni di assoluta delinquenza e di aggressività che abbiamo visto a Bucha, che abbiamo visto alle stazioni da dove partiva la povera gente che cercava di scappare? La guerra, che resta sempre e comunque qualcosa di tragico, ha dei suoi codici, delle Convenzioni. Quei codici sono stati ampiamente calpestati in Ucraina, quelle Convenzioni sono state macchiate da sangue innocente. È una considerazione che da uomo militare mi sento in dovere di fare. Un dovere morale.
Oltre all’escalation militare, in queste ultime settimane, in particolare, abbiamo assistito anche ad una escalation verbale. Uno dei protagonisti è il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che prima ha definito il suo omologo russo un “macellaio” per poi incolparlo di essere il mandante del genocidio in atto in Ucraina. Generale, ma se la pace si fa con il nemico, un nemico che viene tacciato in questo modo…
Sono d’accordo con lei, assolutamente. In una situazione di rapporti così deteriorati, bisogna avere l’accortezza di rendere le cose più semplici e non più difficili di quanto lo siano già. D’altro canto, basta vedere come ci siamo comportati noi, come si sono comportati i francesi o i tedeschi. Abbiamo compreso e tutti abbiamo aderito ad una iniziativa che ponesse termine a questa aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. Ma ci siamo ben guardati dal fomentare una reazione. Abbiamo cercato di richiamare l’attenzione su quelli che dovevano essere i passaggi diplomatici per potere arrivare ad una soluzione. C’è un accordo, il “Minsk 2”, del 2014. Se qualcuno ha da dire su ciò che è accaduto o non è accaduto nel Donbass, è del tutto legittimo, ma bisogna farlo in un’altra maniera. Ci sono accordi firmati dai belligeranti, e sottoscritti anche da Stati Uniti, Francia e Germania, nel 2014. E che facciamo? Li mettiamo da parte, come se non fossero mai esistiti? Prima di imbracciare le armi, si poteva e si doveva far ricorso a tutte le istanze internazionali deputate alla risoluzione di crisi. Mettiamoci seduti e vediamo perché non si sia adempiuto a quegli accordi che erano stati presi e sottoscritti. Perché poi vediamo che a pagarne le conseguenze sono le popolazioni civili, sono i bimbi, le donne, le persone anziane, i più indifesi tra gli indifesi. Le atrocità che abbiamo visto in questa guerra sono inimmaginabili. L’attacco all’ospedale di Mariupol, con le persone che ne uscivano e che poi sono morte, quello che è avvenuto a Bucha… Si può dire che pietà l’è morta in Ucraina.
Nella sua lunga carriera militare, lei ha ricoperto anche importanti incarichi apicali nella Nato. Le chiedo: non ritiene che alcune decisioni assunte nelle ultime settimane dagli Stati Uniti, come l’invio di armamenti “offensivi” all’Ucraina, delinei una Nato sempre più a trazione americana che metta sempre più all’angolo gli alleati europei?
Facendo una valutazione obiettiva sulla “dosatura” del coinvolgimento di tutti i Paesi aderenti alla Nato, possiamo dire in tutta onestà intellettuale che c’è stata una forzatura in alcuni casi. D’altro canto, io non posso immaginare che si voglia fare una corsa senza freni verso una guerra nucleare. Immagino che l’accortezza di tutti sia quella di “dosare” l’impegno, l’azione, lasciando aperta la possibilità che la gente si parli e che non si vada verso una escalation che sarebbe tragica per tutto il mondo. Bisogna fare attenzione, anche alle parole usate. Tanto più alle decisioni militari assunte. Non è che uno può mettere il peso sul carro armato oppure sulla mitragliatrice, non è certamente questo il discorso, però bisogna avere accortezza. Se si vuole coinvolgere l’avversario in una visione di superamento delle difficoltà, allora occorre avere un’attenzione anche a queste cose.
Per restare sul rapporto tra Stati Uniti ed Europa. Non crede che questa drammatica vicenda ponga con ancora maggiore impellenza il tema dell’Esercito europeo?
Assolutamente sì. Da militare, ho voluto sottolineare, in alcuni scritti, l’importanza della decisione che il nostro Governo ha preso di elevare le risorse finanziarie destinate alla difesa fino al 2% del Pil, anche se trovo pienamente legittime e degne di considerazione le posizioni contrarie. Ritengo importante quella decisione perché c’è una necessità impellente…
Quale?
Noi dobbiamo, come Unione Europea, costruire un’autonomia anche sul piano dello strumento militare, proprio per non sentirci vincolati da qualcuno che ci vorrebbe imporre cose che noi non vorremmo fare. È importante registrare, in questa ottica, una condivisione europea. Pensiamo al comportamento tenuto dal presidente Macron, di continua interlocuzione con la Russia, la stessa cosa si può dire per il cancelliere Scholz e per l’impegno a ricucire i fili del negoziato con Mosca mostrato dal nostro presidente del Consiglio, Draghi. Pur nella situazione di contrasto fortissimo, perché l’Italia, la Francia, la Germania non possono accettare che accada quello che sta accadendo in Ucraina, queste nazioni hanno operato come operano nazioni di una certa civiltà. Hanno continuato ad avere una interlocuzione, hanno cercato di superare gli ostacoli, senza purtroppo riuscirci. Avere una forza militare europea può aiutare, e non poco, ad avere maggior peso politico anche nei confronti dell’irrinunciabile alleato americano.
Lei ha avuto modo di interloquire con i vertici militari russi. Come li racconterebbe?
Un mio pari grado russo, nel momento in cui parla con un italiano, è come se parlasse uno statunitense, cioè parla da una posizione di caratterizzazione militare diversa. Non dico che abbia una superbia, ma certo il convincimento di rappresentare, sotto l’aspetto puramente tecnico, una struttura più forte. Questo non toglie che quando parla con un italiano o con francese, o con un tedesco, deve fare attenzione a come si esprime. Per fortuna dalla nostra parte abbiamo tanti elementi che ci consentono, pur in una situazione militare meno elevata, di rappresentare orientamenti, valori e obiettivi che sono quelli del nostro modo di pensare e agire, e forte di questi principi abbiamo espresso, a me è capitato diverse volte, il nostro dissenso rispetto a chi avevamo di fronte.
Generale Del Vecchio, non le chiedo di trasformarsi in un indovino che legge il futuro. Le chiedo da militare e stratega: quanto può durare ancora questa guerra?
Se gli obiettivi russi erano quelli di cui dicevamo, il Donbass, la Crimea, l’assoluta neutralità dell’Ucraina, mi sembra di poter dire che nonostante la forte resistenza ucraina, il Donbass sia ormai in una situazione di grande difficoltà. Con il collegamento realizzato tra il Donbass stesso e la Crimea, con il Mar d’Azov praticamente precluso all’Ucraina, sperando che non ci sia una progressione russa verso Odessa, ecco, se gli obiettivi restassero questi, ritengo che una soluzione potrebbe verificarsi entro tempi contenuti, quindici giorni, un mese. Raggiunti questi obiettivi, credo che la Russia si possa sedere a un tavolo negoziale e giungere così ad una soluzione positiva di questo conflitto.
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