Guardie d’onore, militari a cavallo, strette di mano, ricevimento sontuoso, firme per nuovi accordi bilaterali. L’ennesima sfida di Vladimir Putin è servita. E questa volta è andata in scena a Ulan Bator, capitale di quella Mongolia che si conferma uno dei Paesi più interessanti per le dinamiche politiche dell’Asia. Sul presidente russo, infatti, pende un mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale con l’accusa di deportazione illegale di bambini durante la guerra in Ucraina. La Mongolia, quale Paese aderente al Trattato di Roma, aveva formalmente l’obbligo di rispettare il mandato della corte dell’Aja e procedere all’arresto dello “zar”. Ma da parte del governo e della giustizia dello Stato asiatico, nessuno ha mosso un dito. Putin è stato accolto nel miglior modo possibile, con il presidente Ukhnaagiin Khurelsukh che lo ha incontrato in piazza Sukhbaatar (o piazza Gengis Khan) mentre risuonavano gli inni nazionali

Il trionfo mediatico e politico

E il primo viaggio del capo del Cremlino in un Paese che ha aderito alla Corte penale internazionale, si è risolto in un trionfo mediatico e politico del leader russo. E in un nuovo guanto di sfida all’ordine internazionale definito dai trattati che hanno provato a fornire una cornice giuridica a un mondo dove invece domina sempre di più il caos. La premessa è d’obbligo. La Mongolia ha firmato il Trattato di Roma nel 2000 e ha tecnicamente l’obbligo di rendere efficace il mandato d’arresto della Cpi. Quindi Ulan Bator non ha dato seguito a un suo dovere di fronte all’Aja. Ma da un lato la Corte non ha alcun potere coercitivo né una sua polizia, e al massimo può ricorrere a blandi richiami verbali o inviare il dossier direttamente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dall’altro lato, il messaggio inviato da Putin e dal suo omologo asiatico è un altro: e cioè che il rispetto del Trattato è di certo inferiore al soddisfare le necessità strategiche di uno Stato. E la Mongolia, stretta tra due giganti come Cina e Russia, non ha battuto ciglio, perseguendo la seconda strada rispetto alla prima.

Tra Mosca e Pechino

Un portavoce di Ulan Bator sentito da Politico ha espresso questo concetto in modo cristallino. “La Mongolia importa il 95% dei suoi prodotti petroliferi e oltre il 20 per cento dell’elettricità dai nostri immediati vicini, che in precedenza hanno subìto interruzioni per motivi tecnici. Questa fornitura è fondamentale per garantire la nostra esistenza e quella del nostro popolo”, ha detto l’alto funzionario, e “la Mongolia ha sempre aderito a una politica di neutralità in tutte le sue relazioni diplomatiche”. Ed è una neutralità dovuta anche al fatto che il Paese dalle steppe è stretto tra Mosca e Pechino: cosa che lo rende essenziale anche nelle relazioni tra le due superpotenze.

Le relazioni in crescita

Gli Stati Uniti e i Paesi europei hanno messo in atto un avvicinamento con il governo mongolo. Una politica che Ulan Bator non ha mai rifiutato. Ad agosto dell’anno scorso, proprio la vicepresidente Kamala Harris incontrò a Washington il primo ministro della Mongolia, Oyun-Erdene Luvsannamsrai, e in quell’occasione sottolineò la “partnership strategica” tra il Paese asiatico e Washington e la necessità di rafforzare i rapporti data l’importanza dell’Asia e dell’Indo-Pacifico per la strategia americana. Ma in Mongolia devono tenere conto anche della posizione geografica e degli interessi dietro le relazioni con Mosca. E di questo ne è consapevole soprattutto Putin, che non a caso ha scelto Ulan Bator come meta del suo primo viaggio in una capitale di un Paese membro della Corte penale internazionale. “Le relazioni tra la Federazione Russa e la Mongolia sono in fase di sviluppo in tutti i settori” ha detto il presidente russo a Ulan Bator.

La rete delle alleanze

E oltre a garantire la fornitura di prodotti petroliferi all’alleato delle steppe, e avere assicurato il passaggio del gasdotto tra Russia e Cina, il capo del Cremlino si è mosso anche sul fronte della diplomazia. E dello schema delle alleanze al di là dell’Occidente.
Putin ha invitato il suo omologo Khurelsukh a Kazan per la prossima riunione dei Brics, il blocco di cui fanno parte Russia, Brasile, India, Cina, Sudafrica, e da qualche mese anche Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. E nonostante i richiami dell’Unione europea e dell’Ucraina sugli obblighi legali della Mongolia per arrestare Putin, lo “zar” ha dato una risposta netta. E con lui anche la sua rete di alleanze, che nonostante l’isolamento da parte dell’Occidente, appare granitica. Soprattutto in Africa e in Asia.