Quali sanzioni ha preso l’Europa contro la Russia, e come scongiurare il rischio boomerang

Il vile attacco ai civili e alle persone inermi da parte delle truppe russe, le immagini tragiche che si vedono in televisione, l’uccisione di bambini, le persone in fuga verso l’estero delineano un quadro da catastrofe umanitaria che dovrebbe accelerare l’indagine della Corte penale internazionale nei confronti di Putin e dei suoi accoliti, nonché dei capi delle operazioni militari, per l’ipotesi di crimini di guerra e contro l’umanità. Non è violata solo la sovranità di uno Stato, ma il diritto internazionale nel suo complesso, dunque i diritti umani e naturali che da De Vitoria e da Grozio, fin dal sedicesimo e dal diciassettesimo secolo, hanno avuto la loro teorizzazione.

Ciò che subito è da farsi è un inasprimento delle sanzioni economico-finanziarie irrogate alla Russia, che viene ritenuto necessario perché alcune di esse, per esempio il blocco dello Swift – la messaggistica per la partecipazione al sistema internazionale dei pagamenti – limitato a sole sette banche russe è ritenuto inadeguato ed eludibile attraverso le triangolazioni con banche non bloccate. Lo stesso congelamento delle riserve in valuta della Banca centrale russa non tocca i relativi flussi, ma incide solo sullo stock. Per queste e altre misure, a cominciare dal tutt’altro che facile blocco dei beni all’estero di proprietà degli oligarchi e dello stesso Putin, dovrebbe sussistere un equilibrio tra l’enorme gravità della situazione che si rappresenta e le reazioni alle quali si ricorre, se non si vuole riproporre in sede internazionale qualcosa di simile alle “grida manzoniane”. Ciò non significa che, parallelamente, non debba procedere l’azione diplomatica: tutt’altro. Anzi, le sanzioni debbono tendere a colmare lo squilibrio delle posizioni negoziali tra Russia e Ucraina, nettamente a favore della prima. Naturalmente, bisogna anche prepararsi non solo agli impatti per così dire automatici delle sanzioni, ma anche alle reazioni che Putin e i suoi starebbero per adottare, per esempio imponendo il pagamento in rubli delle esportazioni russe, bloccando i beni di persone giuridiche e fisiche estere in Russia: insomma, cogliendo tutti i possibili spazi per una controffensiva sul terreno economico che era ampiamente da attendersi, ma che non sminuisce, anzi corrobora, l’esigenza di sanzioni e del loro rafforzamento.

I riflessi nei mercati, l’impennata del prezzo del petrolio arrivato fino a 140 dollari il barile e del gas, che ha toccato una punta di 300 dollari per poi ridiscendere, l’aumento del prezzo del grano e, a catena, degli alimentari, oltreché, ovviamente, della benzina, sollecitano alla predisposizione di un piano dell’Unione europea che riguardi gli acquisti e lo stoccaggio, come il Premier Draghi ha proposto, dei carburanti, ma anche misure “compensative” dei “ danni” che subiscono imprese e famiglie. Materia, questa, che naturalmente spetta anche ai singoli Stati. In questo quadro, alcune regole europee vanno riviste, iniziando dal prolungamento della sospensione, con particolari modalità, del divieto di aiuti di Stato e del Patto di stabilità, ma anche intervenendo, per tener conto del contesto, sulla normativa comunitaria bancaria e finanziaria, nonché di Vigilanza. Domani si riunisce il Consiglio direttivo della Bce. È una seduta molto attesa. Alla fine di questo mese avrà termine il programma pandemico di acquisto di asset, Pepp, ma sarebbe da escludere, pur tenendo conto dell’aumento dell’inflazione, che si avvii una impostazione restrittiva della politica monetaria. Comunque, è fondamentale, proprio perché siamo vicini a un quadro di economia di guerra, che tra la politica monetaria e le politiche economiche e di finanza pubblica dei singoli partner europei, nonché l’Unione in quanto tale, per le attribuzioni che ha, si stabilisca un efficace raccordo che contrasti l’inflazione senza, però, attenuare il carattere accomodante del governo della moneta.

Per l’isolamento crescente in cui comunque si trova a seguito delle predette sanzioni, con la caduta del rublo e la crescita dell’inflazione e per i conseguenti giudizi emessi dalle principali agenzie di rating che declassano il debito russo quasi a “spazzatura”, non si esclude che la Russia possa finire in default. Il 16 marzo dovranno essere pagate cedole su titoli pubblici per 107 milioni, mentre a fine mese dovranno essere corrisposti per la stessa ragione 400 milioni. All’inizio di aprile, dovrebbe, invece, essere rimborsato un titolo di 2 miliardi. Vedremo come il governo si regolerà o se sfrutterà, addirittura, le sanzioni per far slittare i pagamenti. Già nel 1998 , a seguito degli impatti della crisi del Sud-est asiatico, ma anche della sfiducia dei cittadini e delle fughe di capitali all’estero, il rublo crollò, i tassi di interesse raggiunsero il 100 per cento e le riserve valutarie della Banca centrale furono ridotte al lumicino. Ma allora vi era un contesto internazionale non sfavorevole, intervenne consistentemente il Fondo monetario, vi furono azioni concertate delle principali Banche centrali. Ricordo che l’argomento fu approfondito anche nelle annuali Considerazioni Finali dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio.

Oggi, però, la situazione è completamente diversa. Pur trattandosi di una gravissima conseguenza per la Russia, andrebbero, tuttavia, prevenuti gli effetti collaterali che il default potrebbe provocare. Insomma, le misure nei confronti dell’illegittimo invasore dell’Ucraina dovrebbero essere monitorate attentamente e unitariamente a livello europeo, innanzitutto per la loro efficacia e per prevenire i “boomerang”. Ma, nel contempo, molte energie andrebbero dedicate dalla solidarietà europea e internazionale al sostegno della popolazione, dei profughi, di coloro che sono nell’impossibilità di sottrarsi al massacro delle truppe di Putin. Il peggio che potrebbe accadere sarebbe il “vorrei, ma non posso” in cui si dimostrerebbe, ancora una volta, l’incapacità di apprendere alcunché dalla storia.