Sebbene sia tra i cibi più alla moda, esploso soprattutto negli ultimi anni, il sushi resta sempre un argomento controverso. Un po’ perché tanti si chiedono se sia pericoloso o meno e pochi si danno risposte; un po’ perché periodicamente balzano alle cronache storie di morti sospette dopo aver mangiato il sushi. E così il piatto tipico del Giappone finisce sistematicamente sotto accusa. L’ultimo dramma è successo a Napoli dove una donna di 40 anni, Rossella Di Fuorti, è morta poche ore dopo aver mangiato sushi per festeggiare il suo compleanno.

La donna sarebbe morta a seguito si un arresto cardiaco. Le indagini sono ancora in corso per ricostruire l’esatta dinamica di quanto accaduto. La Procura di Napoli ha aperto un’inchiesta e ha incaricato i carabinieri del Nas di eseguire dei prelievi nel locale. Per capire se la causa della morte della giovane mamma di due bambini sia avvenuta in maniera direttamente consequenziale al consumo di sushi bisognerà attendere l’esito delle analisi di laboratorio e dell’autopsia. Ma, secondo le prime ricostruzioni, nessuno dei familiari che era con lei ha accusato malori e non era la prima volta che mangiava sushi.

Dobbiamo prima avere la certezza che sia stato un microorganismo a causare il decesso della donna, o per effetto diretto o indiretto cioè che abbia causato una grave forma allergica da shock – ha proseguito il virologo Matteo Bassetti a “Mattino Cinque News” – in un caso come questo anche i commensali ne avrebbero risentito. Quando ci sono forme medio gravi di tossinfezioni alimentari bisogna far sfogare l’organismo che espellerà il microorganismo tramite vomito a diarrea. Nelle forme gravi come quella di Rossella non ci sono molte alternative se non quella di recarsi subito in ospedale e fare tutto il possibile”.

“Una reazione allergica, una reazione a una contaminazione microbiologica o un qualcosa che non c’entra niente con il sushi. Il fatto che la donna sia morta dopo essere uscita da un ristorante di sushi non ne fa necessariamente la causa”, ha detto all’Ansa Marco Silano, direttore dell’unità operativa Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità. “Fare qualsiasi ipotesi è del tutto impossibile. Bisognerebbe avere altri elementi per stabilire quale sia la causa”.

Quanto ai possibili rischi nel consumo di pesce crudo l’esperto è sicuro: “Nessun rischio. Perché il pesce che si mangia crudo, per il consumo come tale, deve essere prima ‘abbattuto’, ovvero sottoposto a un processo che porta il pesce a temperature intorno ai 20 gradi, in genere nel giro di 24 ore”. Questa procedura che inizia sulla barca- spiega Silano – è obbligatoria per il pesce da mangiare crudo. E ovviamente chi eroga pesce crudo lo sa. Il pesce crudo è autorizzato, quindi è sicuro altrimenti non sarebbe autorizzato. “Naturalmente va trattato in modo adeguato e la cosa fondamentale è abbatterlo. Vale per tutti i tipi di pesce, che sia consumato al ristorante, o che sia una preparazione domestica. Quindi anche per il pesce che si compra dal pescivendolo o al supermercato. E nei punti vendita è specificato quale è il pesce che può essere mangiato crudo”.

A cosa è bene fare attenzione nel mangiare pesce crudo? Tempo fa il Riformista lo ha chiesto a Nicola Coppola, docente di Malattie Infettive dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli di Napoli. “Il pesce non cucinato mette a rischio di alcune infezioni perché alcuni parassiti, batteri o virus possono essere presenti nella loro carne e quindi determinare infezione all’uomo se non adeguatamente sottoposto ad alte temperature come durante la cucina”. Che tipo di malattie e infezioni? “Parliamo di infezioni virali, in primis il virus dell’epatite acuta A e Norovirus, che può essere trasmessa dal consumo di frutti di mare crudi o poco cotti; di infezioni batteriche, come Salmonella thypi o Salmonellosi minori, Listeria, Escherichia coli, Staophylococcus, Aeremonas, trasmessi essenzialmente da frutti di mare, ma anche da carne di pesce crudo; di parassiti, come l’Anisakis, che contamina pesci di acqua di mare, l’Opistorkis, che contamina pesci di acqua dolce, e il Diphyllobotrium, che contamina pesci come la trota, il pesce persico e crostacei di acqua dolce”.

Secondo l’esperto, dopo aver mangiato pesce crudo bisogna fare attenzione a una serie di sintomi. “Le manifestazioni cliniche di queste diverse infezioni differisce da patogeno a patogeno. In molti casi si caratterizza da diarrea e sindromi gastro-intestinali; in corso di epatite acuta A abbiamo un danno acuto del fegato con ittero (colorazione gialla delle mucose e della cute); in corso di infestazione da Anisakis, la sintomatologia è caratterizzata da dolori gastrointestinali per l’aggressione della mucosa gastrica da parte del parassita; in corso di infestazione da Diphyllobotrium, abbiamo segni aspecifici come astenia e anoressia dovuta ad anemia per il consumo di vitamina B12 da parte del parassita”.

Coppola precisa che i diversi sintomi possono insorgere in tempi diversi a secondo del microbo coinvolto e malattia: “l’incubazione è molto lunga o lunga in corso di infezione da Diphyllobotrium e epatite acuta da HAV, breve (1-7 giorni) nelle forme da Anisakis, E.coli, etc”. Il pesce crudo in ogni caso può essere reso sicuro: “La modalità migliore per consumare frutti di mare è la sola cottura. La modalità più sicura per consumare il pesce è la cottura ad almeno 56°C o l’abbattimento a meno di -20°C per almeno 24 ore. L’abbattimento però va fatto in maniera idonea, in strumenti detti abbattitori che raggiungono tali temperature lentamente”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.