Un grande filosofo ha detto che si è costretti a pensare, forzati dalla verità. Mi ritrovo molto in un’affermazione del genere, perché la riflessione sulle serie televisive mi si è letteralmente imposta, ormai più di dieci anni fa. Avevo fatto il mio percorso in modo abbastanza tradizionale: prima e dopo il mio dottorato, avevo pubblicato monografie su grandi filosofi e su temi poco battuti dalla ricerca nel mio campo di studi (l’estetica filosofica). Tuttavia, proprio quando ho cominciato a insegnare a giovani artisti in formazione, mi sono accorto che qualcosa stava cambiando in maniera significativa nell’immaginario e nel modo di rapportarsi alla realtà attraverso questo stesso immaginario.
Le nuove serie tv si stavano imponendo come grandi opere d’arte, complesse ma al tempo stesso capaci di tenere con il fiato sospeso comuni cittadini e capi di stato (Barack Obama, su tutti), nonché di influenzare attivisti nella creazione di nuovi partiti politici (come nel caso di Game of Thrones per Podemos in Spagna). Lo studio delle serie tv mi ha permesso, così, di guardare il presente da un’angolatura molto particolare, per lo più snobbata dagli studiosi, limitati dai loro pregiudizi. La filosofia non dovrebbe occuparsi, secondo molti, di prodotti che fino a qualche anno fa erano soprattutto mezzi per spingere gli spettatori al consumo.
Insegnando in un’istituzione universitaria che si occupa della formazione artistica, le nuove narrazioni mi hanno spinto, invece, a rivedere il concetto di arte, permettendomi di approfondire e elaborare un concetto più moderno e inclusivo (e articolato in libri come Canone inverso. Per una teoria generale dell’arte, edito da Villaggio).
Non solo: anche il concetto di bellezza si prestava alla stessa operazione di ampliamento e messa in discussione. Partendo dalle serie tv, ho potuto così avvicinare meglio fenomeni della cultura di massa come la diffusione della chirurgia estetica e il modo di raccontarsi sui social attraverso i selfie. Ma le serie tv mi hanno anche salvato: per diversi motivi ho dovuto interrompere la mia docenza universitaria per qualche anno e mi sono ritrovato a insegnare filosofia nelle scuole superiori.
Facendo leva proprio sulla passione dei più giovani per le serie tv, ho potuto trasformare così radicalmente la didattica, utilizzando scene e momenti salienti delle serie di culto per veicolare i contenuti classici della storia della filosofia. Le serie tv erano, del resto, cambiate: alcune citavano esplicitamente filosofi e facevano riferimento a questioni capitali della filosofia.
Ecco allora Platone spiegato attraverso Black Mirror, o Machiavelli e Hobbes attraverso Game of Thrones, o Kant e Hegel attraverso Lost e Breaking Bad.
Da questa esperienza sarebbe nato La filosofia spiegata con le serie tv, edito per Mondadori, diventato un vero e proprio classico ormai in molte scuole. Era solo l’inizio: con i miei studenti ci saremmo appropriati delle tecniche di scrittura seriale per produrre libri, ebook e video didattici di qualità. Le mie ricerche sulla bellezza contemporanea in ambito universitario, che tanto dovevano alla narrazione delle nuove serie tv, sarebbero poi state utilizzate per progetti con i ragazzi verso usi consapevoli e artistici del loro smartphone, per raccontarsi diversamente e per sensibilizzarli sui disturbi del comportamento alimentare, una vera piaga per gli adolescenti di oggi alle prese con la loro immagine corporea sui social. Ho lasciato la scuola da qualche anno ormai e sono ritornato a insegnare all’università. Guardo (e analizzo) ancora molte serie tv in circolazione. In questi dieci anni, grazie alle loro storie, ho imparato a stare al mondo in un modo diverso: più attento, soprattutto verso le generazioni più giovani. E un appuntamento per me è stato vitale: il festival di Popsophia, dedicato interamente alla pop filosofia, ovvero a quell’esercizio di attraversamento critico e creativo dei fenomeni della cultura di massa. Ogni volta mi sono sentito a casa e, al tempo stesso, parte di un movimento di pensiero, di un esercizio che non praticavo da solo. La filosofia più autentica, per me, non è mai stata qualcosa di diverso. I critici parlano di banalizzazione o di intrattenimento culturale della filosofia. Dall’alto dei loro post su Facebook.