Ambrogio
Quando per i ragazzi la scuola è un mondo estraneo, “I maranza non hanno strumenti e difendono quello che imparano in piazza”
Un dialogo con Giovanni Cominelli, esperto di politiche educative, la realtà della metropoli richiede comunque strumenti culturali forti
Per capire quanto il sistema scolastico riesca ad essere al passo con i cambiamenti del tessuto sociale, credo sia necessario, innanzi tutto, capire che cosa vuol dire sistema di istruzione e quali siano le sue componenti essenziali. I pilastri sono quattro. Il primo è il curriculum, cioè quali sono i saperi essenziali e fondamentali e servono per. Il secondo l’ordinamento. Cioè, una volta che ho deciso un’asse culturale, come lo somministri? Il terzo è la gestione: le scuole sono pezzi dell’apparato ministeriale centrale o sono soggetti che rispondono autonomamente, sia pure all’interno di un quadro nazionale, secondo le esigenze del territorio? Il quarto è la gestione del personale.
Ciò rende più aderente alla realtà che cambia è innanzitutto il curriculum, l’insegnamento: se i ragazzi usano solo 800 vocaboli invece dei tre 4000 che sono necessari per la comunicazione ordinaria, se noi abbiamo un ritorno di analfabetismo funzionale che è attorno secondo II più ottimisti attorno al 28%, secondo i più pessimisti anche al 48%, se non hanno il senso della storia, se si fermano ancora adesso al 45, al massimo arrivano al 48, e non conoscono il resto della storia d’Italia , a poco a poco cresce una generazione che è sempre più arretrata rispetto al presente.
Una condizione particolarmente grave proprio in una realtà metropolitana…
«Soprattutto soggette ad aggravarsi, perché mentre in un paese c’è una comunità torno, un ambiente che in qualche modo obbliga, costringe a mettersi al pari, in una realtà metropolitana c’è una fascia che registra la pressione, corre in avanti, ma gli altri rimangono sempre più indietro».
Questa carenza diventa quasi un’identità, ad un certo punto…
«Sì, in qualche modo diventa esattamente una sorta di identità tecnica. Tanto per capirci, il modello dei “maranza”: non gli sono stati i dati, gli strumenti per stare nel mondo presente».
In una realtà metropolitana dove c’è un pezzo di città che corre molto avanti, molto in fretta e produce tanto, anche linguaggio e cultura…
«Infatti l’effetto è che le differenze che sarebbero il sale dalla società, diventano diseguaglianze.
Da una parte c’è chi va avanti, gira il mondo, parla le lingue capisce cosa sta succedendo, dall’latra chi non capisce non capisce. Il sapere è la precondizione per partecipare alla storia».
E come c’entra la scuola?
«Se la scuola non ti dà più i saperi, alla fine ti affidi ai saperi sociali esterni arrivando a difendere quello che impari nella piazza. La lingua, la storia, la matematica, le scienze: questi sono gli assi fondamentali di cui ti devi impadronire entro i 18 anni».
Si dice che la scuola deve essere al passo con i tempi, tantopiù in una realtà cittadina complessa…
«E invece tanti ragazzi sentono la scuola come un mondo a parte. Mentre una volta dentro la scuola tu sperimentavi la liberazione, la crescita, si apriva un mondo, adesso la scuola è un mondo estraneo».
C’è poi un tema legato molto al discorso della metropoli, della città. La teoria che la scuola debba essere direttamente collegata con il mondo del lavoro…
«Finché a un ragazzo non insegni a leggere, a scrivere, a parlare e a comportarsi, cioè la capacità di gestire delle relazioni, alla fine in una qualsiasi azienda verrà messo a fare le fotocopie».
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