Quel filosofo di Treviri ci dice ancora qualcosa: la nuova versione del capolavoro marxiano, un classico da affrontare

«Oltre alle miserie moderne ci opprime tutta una serie di miserie ereditarie che sorgono dalla sopravvivenza allo stato vegetativo di modi di produzione antiquati col loro seguito di rapporti sociali e politici anacronistici. Le nostre sofferenze vengono non solo dai vivi, ma anche dai morti». Un bellissimo giro di frase, non sembra di un economista. Con finezza Paolo Bricco – sul Sole 24 Ore – ha sottolineato di Karl Marx la forza letteraria oltre che, ovviamente, la clamorosa importanza nella storia del pensiero moderno.

Sì, la prosa di Marx è spesso immaginifica, dura, veemente (anche nei pamphlet più politici, a partire dal Manifesto), come si può vedere nella sua opera più ampia e famosa, “Il Capitale, che Einaudi ha ripubblicato nella prestigiosa collana dei Millenni (già Cesare Pavese lo fece realizzare a Giulio Einaudi), (pagg. 1288, per la cura di Roberto Fineschi, traduzione dello stesso Fineschi, Stefano Breda, Gabriele Schimmenti, Giovanni Sgrò, 95 euro). Eppure Marx, il pensiero analitico di Marx, non è certo in cima ai pensieri degli intellettuali di oggi, spesso inconsapevoli debitori del filosofo di Treviri. Ma, ferma restando l’inevitabile distanza derivante dal tempo trascorso, con lui probabilmente bisogna ancora fare i conti: almeno per qualche aspetto.

Simone Paliaga ha osservato su Avvenire: «Nel capitolo tredicesimo del primo libro del “Capitale”, intitolato “Macchinario e grande industria”, Marx prende in esame, in maniera puntuale, il nuovo sistema di fabbrica disegnato dalle macchine. Ponendo sotto indagine gli esiti della loro introduzione nel sistema produttivo e soprattutto la realizzazione di un sistema di macchine, Marx rileva alcune dinamiche sociali ed economiche legate all’innovazione tecnologica, che oggi come allora innerva e condiziona la società». Lui scriveva 150 anni fa ma certe dinamiche sembrano essere in qualche modo sopravvissute relativamente all’attuale complicatissimo modo di produzione.

Da parte sua, un non marxista come Maurizio Ferrera ha sottolineato sul Corriere della Sera che la recente ritrovata attualità di Marx «ha coinciso con una intensa crescita delle disuguaglianze sociali e della precarietà sociale». È un altro mondo rispetto al suo, va da sé; tuttavia – scrive Fineschi nella introduzione – «la teoria marxiana del capitale è una delle poche a proporre spiegazioni organiche a molti dei fenomeni storico-economico-sociali in atto: globalizzazione, crisi cicliche e di lungo periodo, conflitto sociale, incremento della produttività, i novazione tecnologica e automazione, disoccupazione di massa».

Si può discutere, certamente. Soprattutto distinguendo Marx dal marxismo, qualcosa resta, in ogni caso: a Einaudi non saranno mica matti se hanno ripubblicato questa nuova versione del capolavoro marxiano! Concluderemmo perciò citando ancora citando Bricco: «Il racconto di Marx funziona bene. Il Capitale rimane un classico da affrontare».