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Quella di Trump non è certo una “soluzione finale” per i Palestinesi
![AP Photo/Abed Hajjar AP Photo/Abed Hajjar](https://www.ilriformista.it/wp-content/uploads/2025/01/gaza-2-900x600.webp)
Chi pure desiderasse con ardore la creazione di uno Stato per i palestinesi, e chi pure detestasse di tutto cuore Donald Trump, si sarebbe potuto astenere, l’altro giorno, dal propalare la notizia secondo cui il presidente degli Stati Uniti avrebbe proposto di deportare due milioni di abitanti di Gaza. Non per altro, ma semplicemente perché il legittimamente detestabile Donald Trump non l’ha fatto. Non per altro, insomma, ma perché la notizia era semplicemente falsa.
Dire infatti, come ha detto Trump, che la Giordania o l’Egitto o altri dovrebbero accogliere i palestinesi di Gaza può essere sbagliato, può essere una sciocchezza, può essere uno sproposito: ma non significa proporre la deportazione di quella gente. Argomentare, come ha argomentato Trump, che quei Paesi dovrebbero accogliere i palestinesi perché Gaza è al disastro e la gente vi muore, può rappresentare una motivazione erronea, pretestuosa, inaccettabile: ma non è la giustificazione che in modo surrettizio legittima la “soluzione finale” dei palestinesi. Non sarà un caso se nemmeno l’ufficio politico di Hamas – che pure le ha commentate e respinte con fermezza – ha creduto di dover denunciare che le dichiarazioni di Trump preconizzassero la “deportazione” del popolo di Gaza.
Occorre ripeterlo. I vagheggiamenti del presidente degli Stati Uniti – anche in Israele accolti con disappunto non isolato – possono rappresentare quanto di meno opportuno e quanto di più sbagliato per chi ritenga che la difficilissima situazione di Gaza possa essere risolta in quel modo, e cioè inducendo i Paesi arabi ad assorbire centinaia di migliaia di palestinesi. Ma strepitare su una inesistente proposta di “deportazione” rimarrebbe sbagliato anche se Trump avesse quell’intendimento e anche se Israele lo condividesse.
La realtà è che quelle dichiarazioni di Donald Trump – di cui alcuni sospettano il coordinamento con Benjamin Netanyahu, al quale sarebbero venute buone per i rapporti con la destra radicale che lo sostiene precariamente – urtano in modo assai irritante la posizione dei Paesi arabi che ai palestinesi si interessano in modo non propriamente nobile, e cioè a patto che essi continuino a rappresentare una magagna per Israele. Come per buona parte della società palestinese uno Stato di Palestina ha un senso solo sul presupposto che si impianti sulle rovine dello Stato Ebraico, così, per il grosso degli Stati arabi, lo Stato di Palestina è l’espediente – il “o tutto o niente” – che consente loro di respingere i palestinesi o di tenerli a vivere nelle tendopoli e nei baraccamenti che, essendo estranei alla sovranità israeliana, non meritano di essere definiti “prigioni a cielo aperto”.
Non basta. Chi – ancora giustamente – reclamasse l’esigenza che i palestinesi abbiano un proprio Stato, potrebbe utilmente considerare l’urgenza di un altro pericolo, a fronte di quello improbabile della “deportazione”. E cioè il pericolo che il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese sia impugnato e sventolato da chi, in realtà, lo ha affidato alla maledizione prima trasformando Gaza in un enorme dispositivo terrorista, a poi facendone un orrendo campo di battaglia. Il tutto, sulla pelle dei civili “da usare come attrezzi”.
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