Diceva Theodor W. Adorno che le radici dell’antisemitismo si spingono sino alla profondità più oscura e misteriosa della nostra civiltà. È vero. Al di là delle invettive contro i farisei presenti in alcuni passi dei Vangeli e delle lettere paoline, le origini dell’antisemitismo risalgono almeno al IV secolo. Dopo la conversione dell’imperatore Costantino (313), il nemico della cristianità viene identificato nel popolo dell’Alleanza, e la persecuzione degli ebrei viene tollerata in virtù del “delitto commesso contro Cristo” (Eusebio di Cesarea, “Historia Ecclesiastica”, 325).

Dal canto suo, Hannah Arendt ha collocato l’antisemitismo tra le componenti determinanti dei totalitarismi novecenteschi. Per l’allieva di Karl Jaspers, solo riconoscendo che gli ebrei d’Europa erano stati selezionati per un progetto di feroce epurazione dell’umanità, lo sterminio poteva essere definito come un crimine contro “tutta” l’umanità. Gli ebrei erano stati le prime vittime delle fabbriche della morte, ma il loro destino tragicamente eccezionale doveva gettare la luce sul destino di “tutti” i popoli. Secondo Arendt, inoltre, la ultrasecolare tradizione antigiudaica chiamava in causa tutte le élite europee, culturali, religiose, politiche e sociali (“Le origini del totalitarismo”, 1951). In fondo, come aveva ben capito lo storico francese March Bloch, la catastrofe dello sterminio non sarebbe stata possibile senza la sconfitta della logica, ossia con la menzogna che diviene verità e la verità che diviene menzogna.

È esattamente ciò che sta accadendo nel tempo presente, in cui i figli delle vittime della Shoah sono accusati di genocidio del popolo palestinese. La semplice comparazione è ignobile, ma la sua percezione è ormai diffusa nell’opinione pubblica internazionale. D’altronde, l’antisemitismo è come un fiume carsico: riemerge in superficie ogni volta che Israele combatte per la propria sopravvivenza. Oggi persino il velo pudico e ipocrita dell’antisionismo, di cui si servono i malfattori della storia per distinguere i “giudei” dagli israeliani, si è squarciato. La caccia pianificata agli ebrei nelle strade di Amsterdam ne è una drammatica prova. Beninteso, non lo è per chi è convinto che “se la sono cercata” (come le donne stuprate che vanno in giro con la minigonna). Una inviata della Rai in Medio Oriente si è persino lamentata perché solo Al Jaazera ha riportato le “provocazioni” dei tifosi del Maccabi. Se non siamo al sonno della ragione, poco ci manca.

Verrebbe da chiedere a questa giornalista, e a tutti i lavoratori della mente -alias opinionisti e intellettuali- che trasudano indignazione per la carneficina di Gaza: come mai i russi possono vivere e viaggiare comodamente in tutte le città occidentali senza che venga torto loro un capello (salvo quelli “suicidati” da Putin, ovviamente)? Forse gli ucraini si meritavano i massacri di Kharkiv e Zaporizhzhia? In attesa di una gentile risposta, che però non ci sarà mai.