Hersh era ancora vivo quando i suoi genitori, Rachel Goldberg e Jonathan Polin, dalla convention democratica di Chicago gli raccomandavano di essere forte e di sopravvivere. E c’è da credere che sia stato il ricordo della loro presenza lì, la memoria di quel loro recente discorso, a far dichiarare al presidente degli Stati Uniti, sulla notizia dell’assassinio di quel ragazzo e degli altri cinque, che Hamas avrebbe pagato per quel crimine.
Sembra poco, sembra il minimo dovuto, se considerato in sé. C’è forse anche solo da ipotizzare, infatti, che quei macellai, che ammazzano sei inermi tenuti in prigionia da quasi un anno, non debbano pagare per ciò che hanno fatto? Ma quel che sembra poco se riguardato in sé, appare invece molto se paragonato a quel che altri leader del cosiddetto mondo libero hanno creduto di dover (di poter?) dichiarare a proposito dei mostri che hanno sparato nella testa di quei ragazzi dopo averli sequestrati per tutto quel tempo.
Il primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer, ha detto che “Hamas deve rilasciare immediatamente gli ostaggi”. Dichiarazione copiata-incollata dal suo ministro degli Esteri, David Lammy, il quale ha aggiunto che si trattava di “ostaggi innocenti” (come se ce ne fossero di colpevoli). Il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, è andato un pochino oltre, dichiarando che Hamas deve arrendersi “e non può avere futuro nel governo di Gaza”. Emmanuel Macron riusciva invece, persino, ad andare un po’ indietro, subordinando il rilascio degli ostaggi alla cessazione delle ostilità: l’ha detto in inglese, per l’occasione, ma anche in buon francese è ciò che in maniera appena più disinibita dice Hamas.
Che cosa fa significativamente difettose tutte queste dichiarazioni? Il fatto che esse non spiegano come, con quali mezzi, attraverso quali iniziative concrete quei macellai dovrebbero essere indotti a uniformarsi a quelle intimazioni, cioè arrendersi e liberare gli ostaggi. Qualcosa evidentemente impedisce a quegli statisti di promettere conseguenze punitive a chi non adempie al dovere molto teorico, se non presidiato da nulla, di cedere le armi e di restituire alla libertà e alle proprie famiglie i sequestrati. E non si capisce che cos’altro si ponga a impedimento di quella semplice intimazione se non l’idea – o per meglio dire il pregiudizio – per cui il rapimento, il trattenimento in prigionia e l’assassinio di quelle persone inermi non sono dopotutto cose sufficienti ad armare reazioni che vadano oltre una specie di appello papale. Una condotta smozzicata tanto più incresciosa se nel Canada di Justine Trudeau e nella Repubblica di Emmanuel Macron i muri delle sinagoghe recano gli inni al 7 ottobre, e se nel Regno Unito di Keir Starmer il governo sforbicia le forniture di armi a Israele mentre per le strade di Londra le bandiere di Hamas sventolano in faccia alla polizia che fischietta.