Editoriali
Questione Craxi è il nodo finale dei conflitti a sinistra
Sabato e domenica sarò ad Hammamet. Per la terza volta. Leggo che ci saranno anche rappresentanti della Lega, il partito, con Fratelli d’Italia, più lontano da quel socialismo umanitario che Craxi rappresentò. Un omaggio allo statista, immagino. Ci sarà Forza Italia, e non è una novità. Il problema è il panorama a sinistra. Ci saranno i socialisti, naturalmente, e ci sarà Italia Viva. Tutto qui, per quanto ne sappia. Sempre che il Pd non ci ripensi. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, ma soprattutto lontano dal seppellire un duello culturale e politico che ha diviso per un secolo la sinistra italiana. Hic Rodhus, hic salta, e invece il salto non c’è. Dietro l’assenza, infatti, c’è ben di più della figura a loro dire controversa di Craxi.
Ci sono state due visioni del mondo che ancora oggi faticano a ricomporsi. La farò breve. La rottura avviene con la rivoluzione russa, gli effetti si propagano da cent’anni. Turati e Matteotti sono nemici da abbattere alla stregua di Mussolini (cito alla lettera da Togliatti e da Gramsci) perché propongono una coalizione democratica e popolare che si opponga al fascismo nascente. Nenni è marchiato dall’epiteto ‘socialfascista’ negli anni Trenta. Duello all’arma bianca alla nascita del centrosinistra nei primi anni ‘60 nonostante un impianto imponente di riforme (oggi si inneggia a Moro, a capo di quei governi, ma non a Nenni, che ne fu ideatore). Vent’anni dopo il PSI viene espunto con una frase di Berlinguer dalla sinistra e Craxi considerato un pericolo. Loro erano avvinghiati al mito di Lenin, noi candidavamo Jirì Pelikan, esule cecoslovacco, alle Europee. Il resto è storia recente.
La conferma che la questione Craxi sia il nodo finale di una storia infinita di duelli a sinistra è nelle scelte politiche compiute dagli eredi del PCI. Mentre i socialismi europei, da Blair ai francesi, attingono a piene mani dalla Conferenza di Rimini (1982) per inaugurare nei loro paesi un nuovo corso, il PDS evita accuratamente di confrontarsi con tematiche che avrebbero reso più competitiva la sinistra italiana. Penso alla riforma istituzionale, ai rapporti con la magistratura, al ruolo dello Stato nell’economia al tempo di feroci privatizzazioni. Con un paradosso: ci si confronta all’estero con i protagonisti del socialismo europeo legati alla recente esperienza socialista italiana e in casa nostra si fa l’esatto contrario. Due mondi in conflitto, due sinistre senza pace, mentre i popoli sancivano la sconfitta del comunismo e la vittoria del socialismo riformista. Ovunque! Nonostante tutto, in Italia la frattura non si è mai risanata.
La politica è un fatto pubblico. È parola, gesti, atti, responsabilità. Ricordo ancora le parole di Angela Merkel su Khol dopo la sua caduta e mi domando perché certa sinistra italiana non abbia il coraggio di battere una strada di verità. Salvo tornare alle origini per capire davvero e dover aspettare decenni per riconoscere chi aveva ragione. Terracini mezzo secolo dopo: aveva ragione Turati. Veltroni mesi fa: aveva ragione Matteotti. E su Nenni, su Craxi? Magari si trattasse soltanto di nostalgia o di consegnare ai libri di storia una lettura non partigiana, e sarebbe comunque cosa buona e giusta. Si tratta dell’Italia di domani. A cominciare dalla cancellazione della prescrizione, dalla zoppicante politica estera, fino alla revisione del reddito di cittadinanza. Se non ora, quando?
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