Parlò di manipolazione ma i giudici gli hanno dato torto
Raccontò al Mattino la sentenza contro Berlusconi, il giudice Esposito perde anche in Appello

Il Mattino vs Antonio Esposito: 2 a 0. Anche la Corte d’Appello conferma che non vi fu alcuna diffamazione nei confronti del magistrato che cacciò Silvio Berlusconi dal Parlamento. È stata depositata questa settimana la sentenza della sesta sezione civile della Corte d’Appello di Napoli che ha respinto il ricorso di Esposito contro l’assoluzione nel processo di primo grado nei confronti di Antonio Manzo, il giornalista de Il Mattino che aveva scritto l’intervista, poi pubblicata il 6 agosto del 2013. L’ex presidente della sezione feriale della Cassazione e attuale editorialista del Fatto aveva intentato una causa nei confronti di Manzo e dell’allora direttore responsabile Alessandro Barbano, ritenendo “falso, diffamatorio, e perciò lesivo” il contenuto dell’intervista dal titolo: “Berlusconi condannato perché sapeva non perché non poteva non sapere. Il giudice Esposito spiega la sentenza: era a conoscenza del reato”.
Il magistrato aveva sostenuto che il contenuto della intervista era stato alterato “mediante interpolazioni e omissioni, che ne stravolgono il senso e attribuiscono all’attore contenuti mai espressi”. La pubblicazione dell’intervista ebbe un enorme clamore mediatico: su Esposito venne aperto un procedimento per trasferimento d’ufficio, promosso dal Csm, e un procedimento disciplinare su iniziativa della Procura generale presso la Corte di cassazione, con rinvio a giudizio innanzi alla sezione disciplinare. Ma non solo: l’intervista confluì anche nel procedimento di conferma delle funzioni direttive presso la Corte di cassazione, culminato nel parere negativo da parte del primo presidente essendogli stata contestata “la carenza di profili di indipendenza, imparzialità ed equilibrio”. Gli allora consiglieri del Csm Filiberto Palumbo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon, infine, avevano chiesto al Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli l’apertura di una pratica avente a oggetto l’intervista in questione, in considerazione della “particolare gravità delle affermazioni”.
Esposito, in ragione di tutto ciò, aveva chiesto a Manzo e Barbano un maxi risarcimento di 2 milioni di euro. Il processo di primo grado, conclusosi nel 2017, aveva permesso di appurare che l’articolo pubblicato il 6 agosto 2013 riportava fedelmente l’intervista rilasciata da Esposito. In particolare, era stato lo stesso Esposito a sollecitarla “con una telefonata al giornalista Manzo effettuata il 1° agosto 2013, alle ore 21.08 sul telefono cellulare di quest’ultimo, appena un’ora dopo la lettura del dispositivo con la condanna definitiva degli imputati, tra cui l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”. Tale telefonata era stata anticipata da altre telefonate precedenti il verdetto in cui “il magistrato e il giornalista avevano discusso del processo e delle implicazioni politiche dell’eventuale condanna di Berlusconi”. Telefonate tutte caratterizzate da un tono “confidenziale”.
Nella telefonata del 1° agosto 2013 era intervenuto l’accordo per l’intervista di lì a qualche giorno, relativa alla sentenza sul processo Mediaset. Un ‘modus’ a cui Esposito era avvezzo. Nel 2011, all’indomani della sentenza emessa contro Totò Cuffaro, ex presidente della regione Sicilia, il magistrato aveva rilasciato sempre al Mattino un’intervista – pubblicata il 24 gennaio 2011 – il giorno dopo la lettura del dispositivo e prima del deposito della motivazione. L’intervista sul processo sui diritti Mediaset era avvenuta telefonicamente intorno alle ore 17:00 del 5 agosto 2013 ed era stata registrata per garantirne la trascrizione fedele, la quale era stata inviata per fax ad Esposito con un appunto di accompagnamento, “Grazie Antonio, fedelissimo”, nel quale l’aggettivo “fedelissimo” stava ad indicare, per l’appunto, l’avvenuta trascrizione corretta ed esatta di ogni parola grazie alla registrazione del colloquio.
L’unico cambiamento, dopo l’invio del fax, era stata la domanda, poi inserita nell’articolo, “Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E quale è allora?”. Una aggiunta che, come scrivono i giudici nel provvedimento di assoluzione, non ha mutato “la verità sostanziale”. Una condotta che, al più potrebbe evidenziare profili di violazioni deontologiche. L’unica notizia positiva per Esposito, a cui il Csm ha radiato dalla magistratura nei mesi scorsi il figlio Ferdinando, il non dover pagare le spese del processo. I giudici hanno infatti deciso per la loro compensazione.
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