Un orrore. Non un errore. A proposito del macello dell’altra sera in quel campo di Rafah, qualche traduzione frettolosa e approssimativa ha messo in bocca a Bibi Netanyahu parole di rincrescimento per un “tragico errore” che non c’è stato e che il primo ministro non ha “ammesso”, come invece gli hanno attribuito di aver fatto.

L’esercito rivendica di aver colpito dove voleva colpire, per neutralizzare dei comandanti di Hamas, e argomenta che le esplosioni e gli incedi che hanno causato tutti quei morti si sarebbero determinati per la presenza di qualcosa nei pressi, un deposito di armi o carburante. Quindi, appunto, secondo la versione israeliana, non un errore ma un incidente. Il che non vuole dire in nessun modo che quanto accaduto sia meno grave, né che siano attenuate le responsabilità di chi ha ordinato ed eseguito l’operazione, né che esse debbano essere giudicate con minore severità: semplicemente, non si è trattato di uno sbaglio.

Si può condannare quello che è successo? Mille volte. Si può chiedere che sia indagato e, nel caso, processato e punito chi ha comandato un attacco che ha provocato tanto orrore? Mille volte, perché si può legittimamente sostenere che un’operazione con simili effetti non può in nessun modo essere giustificata. Benissimo. Ma una cosa non si può fare. Non si può dire – almeno fin tanto che non ve ne sia prova – che qui si assiste a “deliberati attacchi sui civili, donne e bambini”, come qualche sconsiderato va dicendo. Perché in questo caso la condanna non si basa su un fatto (quelle morti invece sono un fatto) ma su un’allegazione, infamante, a dir poco non accertata e del tutto verosimilmente falsa.

Che qui sia in gioco una distinzione fondamentale non solo in relazione alla strage dell’altra sera, ma in relazione a tutto ciò che tragicamente accade da mesi a questa parte, può sostenerlo solo chi fa finta di non capire che è esattamente sui fatti, e innanzitutto su fatti orrendi come questo, che si distingue l’approccio propagandistico o decente dell’osservatore e di chi affetta impegno e sensibilità martoriata. Chiedere a Israele di fermarsi perché restano uccisi troppi innocenti o chiedere a Israele di fermarsi perché vuole uccidere gli innocenti: fa la differenza tra il pacifista un po’ sognante, ma rispettabile, e il pacifista in malafede che ha bisogno di dire “genocidio” per appagare il proprio pregiudizio. Quello che si cura dei bambini palestinesi quando Israele li uccide, non quando un capo di Hamas ordina alle famiglie di non spostarsi perché la causa ha bisogno del martirio dei loro figli.