Metaverso, quindi insieme di ambienti virtuali, inquietudine, questa invece reale.
Torna prepotente squarciando quel velo ambiguo, con cuciture confusionali Immanuel Kant. Noumeno e fenomeno oggi. Il filosofo che forse più degli altri pensatori ha indagato reale e reale percepito. Il filosofo tedesco poneva già la questione nella sua Critica della ragion pura, anno 1781. Il noumeno, spiegava Kant, è l’essenza pensabile, ma inconoscibile, della realtà in sé, in contrapposizione al fenomeno: ciò che appare al soggetto in virtù delle sue facoltà conoscitive. La realtà cui allude Kant è una realtà fenomenica: è nella funzione legislatrice dell’io penso nei confronti della realtà che risiede la garanzia della validità della scienza. Al di là del fenomeno, pensava Kant, non esiste alcuna conoscenza. Per noumeno, invece, si intende ciò che pensiamo esistente ma non conosciamo: si pone come limite della conoscenza umana.
Sì, lo so, vi ho fatto rovistare tra i cassetti delle lezioni di filosofia. Non era un puro esercizio di memoria. Perché potrebbe avere senso parlare oggi di Kant, di realtà conoscibile e quindi reale e di realtà solo pensabile?

Perché di fatto la realtà virtuale, il metaverso, sono pensati certo dalla ragione umana ma di fatto non conoscibili attraverso il fenomeno. E quindi se non appartenenti alla categoria del fenomeno: non sono reali. Oggi, dove finisce il mondo reale e dove inizia quello non reale? Le notizie in volo dalla Gran Bretagna ci dicono che il confine è svanito, semplicemente non esiste più. Fenomeno e noumeno si sovrappongono pericolosamente fino a non essere più distinguibili. Mondo reale e virtuale sono diventati un unico sistema. Pensiamo di vivere realmente ma invece ci muoviamo nel metaverso. In Gran Bretagna una ragazza di sedici anni ha denunciato una violenza sessuale proprio nel metaverso: è stata violentata da un avatar cioè una rappresentazione virtuale di una persona, un alter ego dell’utente che si nascondeva dietro un monitor posizionato chissà in quale parte del mondo. Era essa stessa un avatar in quel mondo pieno di ombre, la luce della ragione non riesce a penetrare in quella foresta ingarbugliata di algoritmi, regole, disegni, visori e immagini. È avvenuto tutto nel metaverso, la ragazza inglese indossava il suo visore e si muoveva liberamente nella sua realtà-non realtà quando, ha raccontato, è stata prima circondata da un gruppo di uomini (avatar) e poi aggredita. Un’aggressione sessuale. Un’aggressione sessuale che avrebbe procurato alla “vittima” un trauma psicologico simile a quello provato dalle vittime di uno stupro fisico. È per questo motivo che la polizia britannica ha aperto un fascicolo.

Della stessa opinione anche il ministro dell’Interno britannico James Cleverly che ha commentato la vicenda: «So che è facile liquidare questa vicenda come se non fosse reale – spiega il ministro – ma la caratteristica principale di questi ambienti virtuali è proprio quella di risultare incredibilmente realistici e coinvolgenti». Un episodio simile era già avvenuto nel 2022, quando la ricercatrice Nina Jane Patel aveva denunciato di aver subito abusi sul metaverso Horizon di Meta. Patel ha raccontato di essere stata «circondata da tre o quattro avatar maschili che hanno iniziato a molestare sessualmente il suo personaggio virtuale». Quindi, per quanto orribile sia il dilagare della violenza, ancor di più quella di stampo sessuale contro le donne, il tutto rimane confinato entro i limiti di un mondo virtuale. Non è tangibile, non si può toccare. Mi si potrebbe obiettare che la ragazza ha effettivamente vissuto il dramma di uno stupro, ma quella ragazza non stava vivendo: non era vita reale. Era vita virtuale. Tornando al fascicolo, non esiste però una polizia virtuale e risalire, con indagini queste invece reali, all’identità degli aggressori che si nascondevano dietro l’avatar è molto complicato se non impossibile considerando che per accedere a queste piattaforme non è necessario registrare il proprio documento di identità. (A proposito di piattaforme, Meta ci ha tenuto a chiarire che «questo comportamento non trova spazio nella nostra piattaforma», nel frattempo però aumentano le segnalazioni di crimini sessuali commessi nel metaverso in Horizon Worlds, gioco VR gestito proprio dalla società di Mark Zuckerberg).

Le indagini quindi molto probabilmente si riveleranno un buco nell’acqua, anzi, nel metaverso. A indagare è la polizia. Polizia non del metaverso, forze dell’ordine reali, vere, insomma di questo universo per intenderci.
La realtà virtuale crea mondi che ci appaiono come reali, nei quali è possibile camminare, parlare, essere violenti, ma che sono completamente illusori, sfidando la nostra comprensione di ciò che è e di ciò che non è. Brancoliamo nel buio, non siamo più in grado di distinguere il reale dal non reale. È una pericolosa deriva confusionaria che giorno dopo giorno, click dopo click si sta lentamente appropriando della nostra ragione. Ragion virtuale, ragion non reale. Incapaci di pensare la realtà, di vivere questi fenomeni e affamati di mondi inesistenti, nutriamo fino alla bulimia la nostra immaginazione…

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.