Rai Futura e Rai Utile, quei canali mai capiti. Quando Viale Mazzini ci provava con un palinsesto schizofrenico

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui la Rai – tra un Tg1 con Bruno Vespa che citava le fonti della Bibbia e un Porta a Porta con plastici e drammi – sognava in grande. O forse sognava strano. Era un’epoca sospesa tra l’euforia digitale dei primi anni duemila e la lenta agonia dell’analogico, un limbo televisivo in cui il servizio pubblico decise di dare spazio a idee nuove, a volte coraggiose, a volte… diciamo creative. In questo contesto nacquero Rai Futura e Rai Utile, due canali digitali che, già dai nomi, promettevano tutto e niente. Due esperimenti di comunicazione che sembravano frutto di una riunione di brainstorming tra un sociologo con la passione per le slide in Helvetica e un copywriter in piena crisi esistenziale post laurea in filosofia. Rai Futura era l’ambiziosa scommessa sul futuro, pensata da Marcello Veneziani – Il nome, tutto sommato, funzionava: evocava visioni, innovazione, dinamismo. Sulla carta doveva essere il ponte tra la Tv dei nostri genitori e quella dei Millennials, quando ancora il termine “Millennials” non era diventato sinonimo di avocado e frustrazione. La missione era chiara: attirare i giovani, parlare la loro lingua, portarli davanti alla televisione in un’epoca in cui stavano già flirtando con YouTube, Msn e i forum pieni di gif animate. Solo che Rai Futura sembrava più una versione ansiosa di Mtv, ma senza i video musicali, senza la coolness e senza la capacità di capire davvero cosa volessero i giovani. Al suo posto, un minestrone di cultura pop, anime random, talk show alternativi con titoli volutamente criptici e presentatori con look “urban” (o almeno così lo descriveva il comunicato stampa). Programmi come L33T, Tàbu Show, Taglia e Cuci cercavano di parlare ai ragazzi, ma sembravano pensati da adulti che avevano sentito parlare di “giovani” solo per sentito dire. L’impressione era quella di una rete sempre in bilico tra il voler essere seria e il voler essere trendy, senza mai capire come fare entrambe le cose.

RaiUtile, divertimento a data da destinarsi

Poi c’era Rai Utile, pensata da Angiolino Lonardi. Già dal nome capivi che il divertimento era rimandato a data da destinarsi. Rai Utile era il canale per chi voleva sentirsi in colpa mentre guardava la Tv. Per chi, invece di rilassarsi, si diceva: “Sai che c’è? Oggi mi faccio una puntata su come si compila il modello 730!”. Un canale pensato per essere uno strumento concreto, con programmi su fisco, previdenza, burocrazia, enti pubblici, sicurezza sul lavoro. Un tentativo di rendere la pubblica amministrazione più accessibile attraverso il piccolo schermo. Un’idea nobile, senza dubbio, ma il risultato finale aveva il ritmo narrativo di una circolare ministeriale letta ad alta voce da un impiegato stanco.

Rai Futura, un palinsesto schizofrenico

Lanciata il 30 maggio 2005, Rai Futura nasceva sotto i migliori auspici. Doveva essere il volto nuovo della televisione pubblica, quello capace di parlare al pubblico giovane con contenuti dinamici, originali, interattivi. Tecnologia, videogiocatori, musica alternativa, cultura urbana, informazione con uno stile nuovo. A parole, un mix perfetto. Nella pratica, un palinsesto schizofrenico, senza una direzione chiara, dove si passava da un’intervista a un dj sconosciuto a un talk filosofico sull’identità digitale, per poi finire con uno spezzone di un anime trasmesso senza troppo contesto. Un’identità incerta che, come spesso accade in televisione, si paga cara.In un’epoca in cui i giovani stavano già migrando verso internet e YouTube muoveva i suoi primi passi da gigante, Rai Futura sembrava parlare a una generazione che non esisteva più. Così, il 1º giugno 2007, il canale chiuse i battenti.

La Rai ci ha provato

Se Rai Futura voleva stupire e sbagliare in grande, Rai Utile sbagliava in modo più metodico. Attivo dal 4 gennaio 2004 al 1º gennaio 2008, il canale voleva aiutare i cittadini a orientarsi tra modulistica, normative, pensioni, tasse, diritti e doveri. Ma lo faceva con un tono troppo simile a un manuale, e poco simile a un programma Tv. Mentre il mondo digitale cominciava a offrire tutorial, forum, siti specializzati e assistenza online, Rai Utile proponeva trasmissioni con linguaggio istituzionale e ritmi da assemblea condominiale. L’esperienza di Rai Futura e Rai Utile è un caso da manuale su come l’innovazione, se non accompagnata da visione, ascolto e progettualità, può trasformarsi in un vicolo cieco. La Rai ci ha provato, e questo va riconosciuto. In quegli anni sperimentava, lanciava nuovi formati, cercava di immaginare un servizio pubblico più moderno, capace di competere con le reti commerciali, ma senza una lettura chiara del presente e una strategia per il futuro, anche le idee migliori rischiano di finire tra i numeri alti del telecomando.