Alla mia richiesta di trasparenza sugli opinionisti a pagamento nelle trasmissioni televisive, Il Fatto Quotidiano, che risulta essere la prima testata in assoluto a “Otto e mezzo” su La7 in base ai dati diffusi dall’economista Riccardo Puglisi ed ha una grande visibilità anche in Rai, ha risposto in un articolo che i loro giornalisti sono invitati perché fanno ascolti. Sarebbe sicuramente interessante verificarlo numeri alla mano, ma il problema che ho sollevato è diverso.
Quando un giornalista viene invitato in una trasmissione di informazione, in qualità di giornalista di questa o quella testata cartacea, il pubblico è portato a pensare che si tratti di un opinionista chiamato a dare le proprie valutazioni su un determinato tema e non un opinionista a pagamento scritturato dalla trasmissione, che sarebbe presente a prescindere dal tema trattato e dagli altri ospiti presenti.
Quanti telespettatori sanno che alcuni ospiti delle trasmissioni di informazione sono pagati esattamente come accade per gli artisti, i vip, i personaggi “famosi” nelle trasmissioni di gossip e simili? Quanti cittadini che pagano il canone sanno che Andrea Scanzi viene invitato quasi tutti i martedì a “Cartabianca” su Rai3 in virtù di un vero e proprio contratto che prevede gettoni di presenza, come ha confermato la Rai rispondendo a una mia interrogazione?
Scanzi a Cartabianca non viene presentato come un collaboratore della trasmissione, quale in realtà è visto che viene pagato, ma come un giornalista del Fatto quotidiano chiamato a dare le sue valutazioni. E così accade per tutti gli altri opinionisti a pagamento. Insomma, la Rai non soltanto dà visibilità al giornalista esterno, alla sua testata, ai suoi libri e ai suoi spettacoli, ma lo paga anche, senza farlo capire chiaramente ai telespettatori. Ma se Scanzi, per restare al suo esempio, è un collaboratore pagato dalla Rai, deve sottostare al controllo di un direttore responsabile o no? Deve sottostare alle indicazioni della redazione, come ogni altro collaboratore? E la Rai, in qualità di editore, è responsabile di quello che dice, come lo è la sua testata cartacea di appartenenza? Nel momento in cui la Rai paga un opinionista, quel giornalista diventa un “opinionista Rai” a tutti gli effetti, con tutto ciò che ne consegue in termini di responsabilità, altrimenti non si capirebbe quale sarebbe il senso del compenso.
A questo punto, però, c’è un’altra domanda che va fatta: perché la Rai, che ha 1.300 giornalisti, molti dei quali nelle redazioni politiche, ha bisogno di pagare giornalisti esterni come opinionisti fissi invece di far crescere i propri giornalisti?
Di fronte a questa situazione e questi interrogativi ho chiesto che l’Agcom intervenga per fare chiarezza e pretendere trasparenza, per fare in modo che i cittadini sappiano che chi esprime una certa opinione politica nelle trasmissione di informazione riceve un compenso. Se La7, emittente commerciale, intende scritturare e pagare gli opinionisti, compie una legittima scelta editoriale, e su questo ho chiesto semplicemente che i cittadini ne siano informati. Se, però, a utilizzare opinionisti a pagamento è la Rai servizio pubblico, credo che sia doveroso in piena trasparenza dire con quali criteri queste risorse dei cittadini vengono utilizzate: chi decide quali giornalisti pagare, quanto pagarli, come scegliere le testate che avranno, inevitabilmente, una grande visibilità.
Come si tutela il pluralismo in maniera concreta, quando vediamo in una trasmissione del Tg1, come lo Speciale sulla crisi di governo di due giorni fa, che in contemporanea sono ospiti ben due giornalisti del Fatto Quotidiano, la vicedirettrice dell’edizione cartacea e il direttore dell’edizione online?
Credo che sarebbe doveroso aprire una riflessione su questo e credo che a muoversi dovrebbero essere innanzitutto l’Agcom, appunto, e l’Ordine dei Giornalisti, ma anche la Fnsi, l’Usigrai, i membri del Cda che hanno davvero a cuore il servizio pubblico. Ho chiesto che le autorità di garanzia si esprimano, ma evidentemente oltre a essere mute sono anche sorde e cieche, non leggono i giornali e non leggono le testate online.