C’è un paradosso che pochi hanno colto. Mario Draghi ha redatto il suo Rapporto indossando i panni dei sovranisti-nazionalisti e degli euroscettici. Ha assunto perfettamente il loro punto di vista. Con grande acume politico (altro che tecnocrate!), ha individuato soluzioni che tutti potrebbero condividere senza rinnegare i propri convincimenti. E dar vita a quel “fronte comune”, a quella “Union sacrée continental” di cui ha parlato ieri Paolo Macry sul Riformista. All’agenda Draghi tutti i partiti potrebbero attingere argomenti e proposte per avviare un vero confronto politico sul futuro della Ue, uscendo dagli slogan elettorali e dalle semplificazioni populistiche.

Per Draghi la sovranità non è solo un concetto giuridico, ma anche e soprattutto un sistema empirico di politiche pubbliche. La vera sovranità si esercita “non già con il potere di fare le leggi ma con il controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni dei cittadini”. La sovranità non si confonde con l’indipendenza ma va tenuta distinta da essa. La vera sovranità consiste nell’assumere la piena consapevolezza dell’interdipendenza. Draghi ripete da anni questi concetti.

Si tratta, dunque, di ridefinire la sovranità nazionale, stabilendo cosa gli Stati possono fare o non possono fare da soli. Sicché le “aree” che possono essere mantenute dagli Stati vanno salvaguardate.
E “aree” attualmente condivise, come, ad esempio, buona parte della politica agricola o specifiche politiche di regolamentazione del mercato, andrebbero più opportunamente ricondotte al controllo degli Stati. Solo quelle poche “aree” che gli Stati non possono governare da soli dovrebbero costituire elementi della sovranità unionale.

Sarebbe bello se si aprisse un confronto serrato e trasparente, nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali, sugli elementi che dovrebbero comporre le due sovranità. Un confronto facilitato dal fatto che per Draghi il rapporto tra integrazione europea e Stati nazionali non è un gioco a somma zero (se uno vince gli altri perdono). Piuttosto, è un gioco a somma positiva: la Ue e gli Stati possono rafforzarsi insieme. L’agenda Draghi non prevede immediatamente una riforma dei Trattati Ue.

Ma traccia un percorso graduale che tutti potrebbero facilmente condividere. Le varie tappe dovrebbero essere, infatti, il frutto di mediazioni politiche tra europeisti e sovranisti. Si potrebbe partire sfruttando la cosiddetta clausola “passerella”, prevista già dai Trattati, per generalizzare il voto a maggioranza qualificata in tutti gli ambiti politici del Consiglio. “Questo passo – è scritto nel Rapporto – richiederebbe un accordo preliminare, soggetto all’unanimità a livello di Consiglio europeo, e avrebbe un impatto positivo sulla velocità di adozione delle iniziative legislative chiave da parte della Ue”. E si precisa che “se l’intervento comunitario è ostacolato da procedure istituzionali esistenti l’alternativa migliore è che gruppi di Stati membri affini ricorrano alla cooperazione rafforzata”.

Se si aprisse davvero un confronto politico sulla governance della Ue, si comprenderebbero anche le proposte di riforma dei Trattati dei vari raggruppamenti.
Sia i sovranisti-nazionalisti che gli europeisti sono interessati a porre mano a una revisione dei Trattati per realizzare i propri obiettivi. Finora nessuna famiglia politica europea ha tradotto la propria visione della Ue in emendamenti ai Trattati. È giunto il momento per incominciare a farlo.
Mentre si parte con i piccoli passi a Trattati invariati, si potrebbero scoprire le carte su quale Unione effettivamente si vuole.
Chi dovrà assumere l’iniziativa di aprire il confronto e tradurre le mediazioni tra i diversi orientamenti in decisioni politiche? I capi di governo nazionali non hanno interesse a “correre rischi per l’Europa”, essendo stati eletti a livello nazionale e dovendo rispondere a un elettorato nazionale.
La Commissione europea, che pure rappresenta giuridicamente l’interesse europeo, non dispone dell’autorità politica per promuovere un processo riformatore, essendo vincolata dai governi nazionali ma anche dalla sua stessa composizione interna. Dovrà necessariamente assumere l’iniziativa il Parlamento europeo.
E del resto spetta proprio a questa istituzione farlo. È l’articolo 10, comma 2, del TUE a prevederlo: “I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo”.

Alfonso Pascale

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