Il conflitto
Razzi contro Israele a un anno dal Sabato Nero. Hamas è più debole, ma è ancora una minaccia
Trecentosessantacinque giorni dopo l’inizio della guerra, nella Striscia di Gaza le Israel defense forces continuano la loro operazione militare. Hamas non è più quella del 7 ottobre 2023. Ha un nuovo leader, Yahya Sinwar, è più debole, ha molte meno armi, miliziani e comandanti. Eppure, nonostante questo, e nonostante anche ieri Benjamin Netanyahu abbia detto che quanto accaduto un anno fa non si debba più ripetere, la milizia palestinese non può dirsi ancora del tutto sconfitta. E lo conferma il fatto che – proprio nel primo anniversario dell’attacco – le sirene d’allarme hanno risuonato a Tel Aviv, Holon, Rishon Lezion, Bat Yam e Sderot per il lancio di razzi dalla Striscia. Pochi missili intercettati da Iron Dome, con alcuni frammenti che hanno ferito due persone. Ma è il segno di come Hamas sia ancora un problema per la sicurezza dello Stato ebraico.
I caccia israeliani e il campo profughi di Jabalya
A certificare ulteriormente i timori di Israele sono arrivate anche le nuove operazioni nella Striscia, con ordini di evacuazione in diverse aree a Sud e a Nord della regione. “A causa degli atti terroristici di Hamas, che saranno affrontati con estrema forza, dovete evacuare queste aree immediatamente e dirigervi verso l’area umanitaria di al-Mawasi”, aveva dichiarato il portavoce in lingua araba dell’Idf, Avichay Adraee. Ordine che però le autorità di Gaza hanno chiesto ai cittadini palestinesi di ignorare “poiché Israele commette crimini e massacri in tutte le aree dell’enclave”. Lo stesso avvertimento da parte delle Tsahal è arrivato per gli abitanti delle aree più meridionali. E ieri i caccia israeliani hanno di nuovo colpito il campo profughi di Jabalya, con un raid che secondo i media palestinesi ha mietuto circa una decina di vittime.
Un tunnel senza uscita
Per il governo israeliano, quello della Striscia continua a essere un problema serio. Perché Hamas, nonostante tutto, sembra risorgere (pur in piccoli gruppi) non appena si abbassa l’intensità della pressione militare dell’Idf. Un problema già osservato dopo il primo ritiro da Khan Younis. Secondo il Wall Street Journal, questa capacità della milizia è dovuta principalmente all’assenza di una leadership alternativa di Gaza e di un vero piano per il dopoguerra. E questo per Benjamin Netanyahu è un tema particolarmente importante, visto che sul futuro della regione sono in molti – anche tra gli alleati internazionali – a chiedere dei passi in avanti. Passi che finora non ci sarebbero stati, a partire dalla possibile tregua in cambio della liberazione degli ostaggi. Sul fronte dei rapiti, a un anno dall’orrore, Abu Obeida (il portavoce delle Brigate al Qassam), ha inviato un messaggio chiaro, dicendo che il loro destino “è soggetto alla decisione del governo di occupazione e non escludiamo che il loro dossier finisca in un tunnel senza uscita”.
Target IDF a Beirut
Un avvertimento inquietante, che riporta all’attenzione quella ferita dell’opinione pubblica israeliana mentre Netanyahu e l’Idf sono impegnati anche sull’altro fronte di guerra: quello del Libano. Ieri l’Aeronautica israeliana ha colpito con 100 caccia circa 120 obiettivi di Hezbollah in tutto il Sud del paese. Mentre un centinaio sono stati i target dell’Idf solo a Beirut in due settimane. L’assedio nei confronti del Partito di Dio libanese si fa sempre più intenso. E la notizia che anche la 91esima Divisione delle forze israeliane si sia unita all’operazione di terra pone seri dubbi sul fatto che questa campagna sia “limitata” e “mirata” come annunciato dal governo. Le colonne della fanteria dello Stato ebraico danno l’idea che la pressione militare stia aumentando anche nel territorio libanese. E il lancio di altre centinaia di missili verso il nord di Israele fa capire quanto profondi siano l’arsenale di Hezbollah e la capacità della milizia filoiraniana di colpire. L’Idf sa che questa è una guerra complessa, che Netanyahu vuole che si chiami “Guerra della rinascita”. Un conflitto su più fronti, da Gaza al Libano, dall’Iraq allo Yemen, da dove ieri è partito un altro missile intercettato sui cieli israeliani.
© Riproduzione riservata