Le motivazioni della Consulta
Referendum bocciati, Cappato si scaglia contro Amato: “Scuse o dimissioni”
Il Presidente della Corte Costituzionale Amato “chieda scusa o si dimetta”: così Marco Cappato commenta le motivazioni alla base dei giudizi di inammissibilità dei quesiti referendari sull’omicidio del consenziente e sulla cannabis, rese note ieri dalla Consulta e che per il tesoriere dell’Associazione Coscioni “smentiscono le dichiarazioni e le vere e proprie falsificazioni fatte da Amato in conferenza stampa: penso all’esempio della persona che aveva un po’ bevuto e all’accusa al comitato promotore di avere sbagliato il quesito sulla cannabis”.
Secondo i giudici il quesito sull’eutanasia non assicura la tutela minima della vita: “sarebbe stata sancita, al contrario di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo”. Invece quello sulla cannabis è inammissibile perché “in contrasto con le Convenzioni internazionali e la disciplina europea in materia, difetta di chiarezza e coerenza intrinseca ed è, infine, inidoneo allo scopo”. Per Cappato “la Corte ha anticipato nel giudizio di ammissibilità un altro di legittimità costituzionale della norma di risulta. Sembra una questione tecnica, in realtà è una scelta politica e in contraddizione con la stessa giurisprudenza della Corte. Se, come sostiene la Corte, ci fosse stato un problema di tutela dei diritti costituzionali delle persone più deboli e fragili, esso sarebbe potuto essere affrontato dopo il voto referendario: gli effetti di un referendum possono essere sospesi dal Presidente della Repubblica, sarebbero potuti intervenire il Parlamento, il Governo e la stessa Consulta. Pertanto la scelta di impedire al popolo italiano di esprimersi su un tema così importante è stata essenzialmente una scelta politica”.
Non arretrano neanche dal Comitato promotore cannabis legale. Dice il presidente Marco Perduca: “Le motivazioni della Corte dicono che il referendum era illusorio, fuorviante e inidoneo. Nessuno dei tre requisiti è previsto dall’articolo 75 della Costituzione. Nell’articolare la motivazione dell’inammissibilità cadono in contraddizione e non leggono la legge in tutta la sua interezza, a differenza di quanto fatto dai promotori”. Il deputato di +Europa Riccardo Magi attacca: “Nonostante la Corte ripeta più volte che non vuole fare un giudizio preventivo di costituzionalità sulla legge di risulta, poi in realtà è quello che fa in tutta la sentenza. Con questo criterio, che va oltre quello dell’ammissibilità, si rende impossibile fare un referendum su questo tema. Poi sostengono che si sarebbe depenalizzata la coltivazione delle droghe pesanti ma questo è falso”.
La Consulta ha spiegato anche perché è inammissibile quello sulla responsabilità civile diretta dei magistrati: “Manipolativo, non chiaro e inidoneo allo scopo”, “attraverso l’abrogazione parziale della legislazione vigente, avrebbe introdotto una disciplina giuridica nuova, non voluta dal legislatore, e perciò frutto di una manipolazione non consentita. Il quesito è inoltre inammissibile per mancanza di chiarezza: la normativa di risulta, infatti, non avrebbe consentito di configurare un’autonoma azione risarcitoria, esperibile direttamente verso il magistrato, poiché ne sarebbero rimasti oscuri i termini e le condizioni di procedibilità”. Per il costituzionalista Giovanni Guzzetta, che ha difeso i quesiti sulla giustizia dinanzi la Corte, “questa è la quarta iniziativa referendaria in materia di responsabilità dei magistrati. Solo la prima, risalente al 1987, in occasione del referendum promosso dai radicali sull’onda delle note vicende legate al caso Tortora, fu coronata da successo”.
Allora la Corte “rimanendo fedele alla propria giurisprudenza che distingue il giudizio di ammissibilità da quello di legittimità costituzionale”, rinviò l’eventuale problema di legittimità costituzionale della normativa di risulta “a un futuro intervento del legislatore o della Corte. Il che consentì al corpo elettorale di pronunziarsi”. Oggi invece “la sensazione, a prima lettura e con tutte le cautele del caso, anche alla luce dei precedenti più recenti, è che la Corte abbia ritenuto di non poter applicare l’approccio del 1987, forse anche in considerazione del fatto che la responsabilità diretta dei magistrati avrebbe ormai costituito una soluzione troppo eccentrica rispetto al modello che il legislatore ha scelto con la riforma del 1988. La domanda, che a questo punto rimane, è se ormai, nel contesto della legislazione vigente, sia tecnicamente formulabile un quesito in grado di superare il vaglio di ammissibilità”.
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