Il proibizionismo e il sistema giustizia
Referendum cannabis: cura per la giustizia

«Il mio obiettivo è garantire tempi ragionevoli per i processi». La Ministra Cartabia ha ragione, ma per ottenere questo nobilissimo risultato bisogna prima valutare le cause dei rallentamenti del nostro sistema giudiziario e il Referendum Cannabis si pone l’obiettivo di risolvere parte di questi impedimenti, raggiungendo così gli scopi tanto desiderati non solo dalla Ministra ma anche da milioni di cittadini italiani.
Durante l’introduzione della relazione sull’amministrazione della giustizia al Senato e alla Camera, la Guardasigilli ha infatti esposto la lettera di una anziana vedova il cui sogno è quello di vedere celebrato il processo del figlio defunto sul posto di lavoro. Nonostante siano passati già quattro anni dalla scomparsa e sebbene il processo rientri tra quelli a trattazione prioritaria, il tribunale non riesce a tenere l’udienza a causa della mancanza di aule ben attrezzate e della carenza di risorse e personale. Una triste realtà che per troppi cittadini italiani è diventata una consuetudine forzata che amaramente si finisce per accettare. Oggi possiamo finalmente dire che una soluzione c’è che pone fine a questo continuo calvario giudiziario: il Referendum Cannabis.
La pandemia ha purtroppo aggravato la situazione carceraria in Italia: ad oggi, con 47.418 posti effettivi e 54.329 detenuti, le carceri italiane hanno una percentuale di sovraffollamento del 114%. Una condizione che dipende in gran parte anche dalle nostre leggi sulle droghe. Una persona su tre, esattamente il 34% dei detenuti, si trova in carcere per reati riguardanti il Testo Unico sulle Droghe ma la quasi totalità di questi sono “pesci piccoli”, spacciatori minori o consumatori, spesso con problemi di tossicodipendenza e il carcere non rappresenta sicuramente l’ambiente più adeguato per il recupero di soggetti con tali problematiche. Invece, i grandi trafficanti restano liberi e continuano a sacrificare le proprie piccole pedine per alimentare indisturbati un mercato illegale che vale oltre 16,2 miliardi di euro. Ancor peggio, sono moltissimi i minori che vengono fermati nelle scuole e i pazienti che si ritrovano a sostenere processi per uso di cannabis medica. Eliminando le pene detentive per le condotte legate alla cannabis, il Referendum riuscirebbe ad apportare un impatto positivo sul sistema giustiziario e quello carcerario, smettendo di intasare tribunali, di riempire carceri e di occupare il tempo prezioso delle forze dell’ordine che andrebbero così impiegate per dei crimini veri.
I dati presentatati ogni anno dalla Relazione al Parlamento sul fenomeno delle Tossicodipendenze in Italia dimostrano che la cosiddetta “guerra alla droga” è di fatto una battaglia contro un’unica sostanza: la cannabis. Nel 2019, le operazioni antidroga condotte dalle Forze di Polizia sono state 25.876 ma oltre la metà erano rivolte al contrasto del traffico della cannabis e solamente un terzo di queste operazioni hanno coinvolto sostanze pesanti come la cocaina. Con le attuali leggi, la cannabis resta infatti la sostanza più “perseguitata” nel nostro Paese con oltre l’80% dei sequestri delle quasi 55 tonnellate di sostanze stupefacenti sequestrate nel medesimo anno.
Salute pubblica, sicurezza, possibilità di impresa, lotta alle mafie, ricerca scientifica e libertà individuali: sono tantissime le ragioni che hanno spinto oltre mezzo milione di cittadini italiani a sottoscrivere il Referendum Cannabis e tra queste ovviamente non può mancare la giustizia. Che lo si voglia o no, il quesito referendario che decriminalizza la cannabis è l’unica proposta di riforma sul tavolo dopo decenni di stallo del legislatore e questo significherebbe poter superare, in modo strutturale, il sovraffollamento delle carceri, l’ingolfamento del sistema giudiziario e lasciare che le forze dell’ordine siano occupate in altre emergenze ben più serie e pericolose. Anche se ignorata, oggi una soluzione c’è.
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