Stampa e regime
Referendum, così l’informazione vuole rendere impossibile il quorum

È inutile negarlo, la partita referendaria si va facendo sempre più difficile, per via della difficoltà a raggiungere il quorum necessario a validare la consultazione. La Corte Costituzionale cancellando i tre quesiti più popolari ha fatto il suo lavoro, quello iniziato nel 1978 con la creazione, per via interpretativa ça va sans dire, di una inestricabile selva giurisprudenziale che nulla ha a che fare con l’art. 75 della Costituzione; il mainstream dell’informazione italica pure, prima nascondendo quanto più possibile al corpo elettorale i problemi e gli scandali della giustizia, poi occultando per benino i temi e le iniziative referendarie. L’emergenza Covid prima, l’elezione del Capo dello Stato poi, la solita questione della tenuta del Governo come valido intermezzo e ora la Guerra.
E con la Guerra, con lo shock emotivo che una inattesa e terribile guerra in Europa ha prodotto in ciascuno di noi, si vorrebbe calare il sipario sui referendum. E invece no, occorre resistere e reagire; lo dobbiamo alla speranza di futuro, un futuro che va costruito per rendere il mondo migliore di com’è e, se futuro ci sarà, per rendere l’Italia un paese più giusto di quel che è. È possibile che tra un paio di anni l’Italia e l’Europa non siano più così come le conosciamo, ma se così non fosse, sarebbe davvero imperdonabile aver perso l’occasione referendaria per cambiare verso alla giustizia in questo paese. L’informazione ‘di guerra’ è parte della guerra stessa, lo stiamo imparando a comprendere in questi giorni: fake news, censure, narrazioni che non hanno nulla a che fare con la realtà, espressioni coniate ad hoc come ‘operazioni speciali’ per celare la verità delle parole ‘guerra’ o ’invasione’. L’informazione di guerra è parte della guerra, anche in tempo di pace, ed è opera dei regimi.
Per oltre 20 anni, da militante del Partito Radicale, ma soprattutto da avvocato di Marco Pannella, su indicazioni di quest’ultimo, ho presentato decine di denunce contro la Rai, contro i suoi vertici decisionali mutevoli come i Governi e i Partiti di maggioranza che da sempre la occupano, pretendendo poi, senza incontrare eccessive resistenze, un servizio privato di propaganda dei Partiti e dei leader che, con le loro nomine, determinano le alterne fortune professionali dei precitati vertici, oltre che dei Direttori di reti e testate, dei capi redattori, dei giornalisti semplici, fino ad arrivare anche ai conduttori e via discorrendo. Marco Pannella era convinto, non senza ragioni, che nella complessiva condotta della Rai – di promozione di alcune forze politiche e di censura di altre forze, ma anche dei temi politici che le forze minoritarie cercavano di far entrare nell’agenda politica del Paese, al fine di ottenere delle riforme – vi fossero gli estremi del reato di attentato contro i diritti politici del cittadino. È l’art. 294 c.p. “Chiunque con (…) inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno ad esercitarlo in modo difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”.
Pannella era un liberale e il conoscere per deliberare di einaudiana memoria era uno dei suoi mantra, così come era molto ben consapevole degli obblighi informativi che la legge pone in capo alla RAI: obiettività, completezza, imparzialità nell’affrontare temi politici e sociali, con la vocazione speciale, propria del servizio pubblico, di dar voce a chi non ce l’ha. Tutto consacrato in leggi, regolamenti, contratti di servizio. Se la Rai non rispetta questi obblighi finisce per ingannare il cittadino, diceva Pannella, che sul rispetto di quegli obblighi invece confida. Una specie di gigantesca truffa contrattuale nella quale il mediatore nasconde ad uno dei contraenti – il corpo elettorale – delle informazioni che potrebbero fargli cambiare idea sull’affare da concludere con l’altra parte – i partiti politici – nel momento elettorale. Quando esposi questa tesi ad un Procuratore di Roma, parliamo di oltre venti anni fa, mi rispose con una domanda che presupponeva un raffinato ragionamento giuridico: “quant’è la pena prevista?” “Da uno a cinque anni” risposi. Con una risatina il Procuratore si allontanò. Stessa sorte per qualsiasi denuncia, per abuso d’ufficio o per peculato: quanto costerebbe sul mercato una campagna propagandistica a pagamento in luogo di quella gratuita che nel corso del tempo la RAI ha garantito a questo o quel partito?
Niente da fare, la Procura di Roma, quella che pesa come due Ministeri – la competenza territoriale è vincolata – non ha mai voluto neppure indagare; quando i Pm di turno chiedevano l’archiviazione e andavo a consultare i fascicoli immancabilmente vi trovavo, in splendida solitudine, solo l’atto di denuncia con la richiesta di archiviazione, quasi sempre per mancanza del famigerato ‘dolo intenzionale’ richiesto dall’art. 323 c.p.. Solo una volta, in venti anni, furono fatte indagini e vi fu la richiesta di rinvio a giudizio per un intero Consiglio di Amministrazione della RAI oltre che per il suo Presidente dell’epoca, per abuso d’ufficio: c’era una campagna elettorale, la Lista Pannella era stata totalmente cancellata dai palinsesti. Un fatto enorme: la concessionaria del servizio pubblico a giudizio per aver cancellato, in un paese democratico, la presenza elettorale di un Partito politico. Un Partito piccolo, si dirà, ma quel Partito qualche anno dopo si pagò la campagna elettorale in tv – all’epoca era possibile – comprò lo spazio per informare i cittadini della sua esistenza e divenne, per una stagione, il quarto Partito italiano: era il 1999. Della vicenda ne troverete traccia solo su Radio Radicale, Radio Londra in tempo di pace. L’informazione ‘di guerra’ del regime italiano cancellò la notizia, non ne parlò nessun giornale, nessun telegiornale, zero assoluto, benché i processi mediatici ai politici già imperversassero da tempo e i social all’epoca erano di là dal venire. Il Pm non la prese bene, ne rimase deluso, capì di essere isolato. Il Gup pronunciò il non luogo a procedere, perché il fatto non costituiva reato. Mancava il dolo intenzionale, e ad avviso di quel Gup non era neppure necessario andare a dibattimento per verificarlo. Strano no? Il filtro del Gup quella volta, una tra mille, funzionò a dovere.
L’Aggiunto che aveva seguito l’indagine si appassionò comunque alla materia, aveva capito che con una informazione diversa questo paese avrebbe potuto essere realmente diverso, voleva andare avanti su altri filoni. Poi un giorno l’incontrai per i corridoi del Tribunale, mi fermò, mi disse sconsolato che il Procuratore Capo gli aveva tolto i fascicoli sulla Rai, la Procura di Roma non poteva, all’epoca, mettersi contro la Rai. E andò in pensione. Pannella non mollava e presentò altre decine e decine di denunce, in Procura come davanti all’Autorità per le Garanzie nella comunicazione. Sono state compendiate in un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo che nell’agosto del 2021 ha condannato lo Stato Italiano per la marginalizzazione operata dalla Rai a danno della Lista Pannella. Una decisione giunta con decenni di ritardo. Questa è l’informazione che ora vorrebbe calare il sipario sui referendum sulla giustizia, quella che vuole mantenere lo status quo, quella che va a braccetto delle Procure e con la quale le Procure hanno assunto il comando del Paese a colpi di avvisi di garanzia e processi mediatici.
È l’informazione che nasconde e normalizza scandali come quelli raccontati dagli stessi protagonisti, che evita di far riflettere su quanto marcio sia un sistema in cui alcuni giudici, pervasi dal senso di onnipotenza che gli è stato consentito, si fanno legge al posto della legge, è l’informazione che nasconde e censura soggetti politici e iniziative referendarie, è l’informazione di guerra in tempo di pace, è l’informazione del regime. C’è la guerra, è vero, tutti ne siamo sconvolti e abbiamo paura, ma proprio per questo dobbiamo cercare di costruire un mondo migliore ed un’Italia in cui si possa pretendere Pace, Libertà e Giustizia. I referendum ci sono, possono cambiare il verso di una giustizia malata ed ingiusta: ora si alzi il sipario!
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