«La magistratura si è trasformata in una casta impegnata a spartirsi il potere e a difendere i privilegi. Davanti a questa degenerazione che mette in pericolo lo Stato di diritto, nessuno ha alzato un dito. Ecco perché serve una scossa da parte degli elettori». Sono parole forti quelle usate da Raffaele Marino, già sostituto procuratore generale di Napoli e icona della lotta alla camorra, per spiegare le ragioni che l’hanno indotto a firmare a sostegno del referendum sulla giustizia giusta. L’ex numero uno della Procura di Torre Annunziata è stato tra i primi, ieri, a raggiungere il gazebo allestito dal Riformista all’ingresso del Tribunale di Napoli con un solo obiettivo: sostenere la battaglia per una giustizia non solo più giusta, ma anche più efficiente e credibile.

Presidente, lei è uno dei pochi magistrati schierati apertamente a favore del referendum: perché?
La magistratura ha subito una trasformazione negativa. L’indipendenza, sancita dalla Costituzione a tutela dei diritti dei cittadini, si è tramutata in privilegio. L’autonomia, in origine presidio del principio di uguaglianza, è diventata una corazza a difesa di quei privilegi. Le correnti, nate per salvaguardare le diverse opzioni ideali tra le toghe, si sono ridotte a macchine di potere, di promozione o addirittura di guerra.

Il Parlamento avrebbe potuto bloccare questa degenerazione, invece non è andata così…
Ecco il problema: nessuno ha alzato un dito. Non l’ha fatto il presidente della Repubblica quando ha preferito non sciogliere un Csm ormai delegittimato dagli scandali. Non l’ha fatto la politica, sotto il ricatto di certa magistratura. E non l’ha fatto la stessa magistratura che, autoriformandosi, avrebbe potuto rilegittimarsi. Così lo Stato di diritto è in pericolo.

Molti suoi colleghi la pensano diversamente. C’è chi ritiene che il referendum serva solo a “limare le unghie alla magistratura” e chi vede nel voto il pericolo di un depotenziamento della lotta alla criminalità: sono timori legittimi?
Niente affatto. Diciamoci la verità: complice l’eccessiva durata dei processi, la custodia cautelare si è trasformata in una pena anticipata, soprattutto se applicata “a tappeto” e nel primo grado di giudizio.

Eppure lei, da gip e da pm, ha fatto ampio ricorso a quello strumento…
Sì, ma solo per contrastare reati come camorra e terrorismo. Il referendum non preclude il ricorso alla custodia cautelare per le fattispecie più gravi e in caso di necessità. I miei colleghi stiano tranquilli.

Chi non dorme sonni tranquilli è l’Anm che, per bocca del presidente Giuseppe Santalucia, si è schierato contro il referendum: che cosa ne pensa?
Da cittadino, Santalucia ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Come rappresentante dell’Anm, però, non può stigmatizzare l’istituto referendario in quanto tale. Certe esternazioni sono improvvide, se non addirittura eversive.

Lei ha firmato a favore di tutti i quesiti, tranne che per quello sulla separazione delle carriere: perché?
Perché tremo all’idea di un pm trasformato in “superpoliziotto”, privo della cultura della tutela dei diritti e della presunzione di innocenza che dovrebbe ispirare ogni magistrato. Per il resto, concordo su tutta la linea: la legge Severino cozza con il principio di non colpevolezza; la responsabilità diretta va introdotta perché quella indiretta è nata come corollario di quell’autonomia di cui la magistratura ha fatto un pessimo uso; i meccanismi di valutazione di pm e giudici vanno cambiati. E il referendum è lo strumento giusto per centrare questi obiettivi.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.