Il dibattito sul referendum
Referendum sull’eutanasia, altro che “quesito sbagliato”: gli errori di Flick sul fine vita

1. Solo adesso che l’iniziativa referendaria promossa dall’Associazione Luca Coscioni ha superato largamente la soglia delle 500.000 firme, il quesito pro eutanasia sale agli onori della cronaca. Era ora. Ignorata dai media e oscurata dai sei quesiti sulla giustizia, ha centrato egualmente l’obiettivo: d’estate, in piena pandemia, senza l’aiuto di grandi partiti (veri serbatoi di autenticatori e sottoscrittori), addirittura sperimentando l’inedito della firma digitale. Riuscirci sembrava impossibile, ma «impossibile è la definizione di un avvenimento fino al momento prima che succeda» (Erri De Luca).
È un miracolo laico, dovuto a due concorrenti ragioni. La prima è la credibilità dei promotori, acquisita in anni di riconosciute battaglie politiche e giudiziarie sul “fine vita”. La seconda è la tragica esperienza – diretta o per interposta persona – che in tanti conoscono: quella di un corpo che si fa prigione dolorosa e insopportabile, dal quale per troppi è impossibile evadere se non con l’aiuto di terzi, violando la legge o varcando il confine.
Questo comune sentire unisce persone di qualsiasi età, ceto sociale, appartenenza politica, perché riguarda – in potenza – tutti e ciascuno. Il referendum ritorna così alle origini, quando interpellava gli elettori su un tema capitale, trasversale, presente nella società ma eluso o normato obtorto collo dal Parlamento: il divorzio, l’aborto, l’internamento per i malati mentali. Dalla vita delle persone al cuore della politica, ora non diversamente da allora.
2. Il successo della raccolta firme (che proseguirà fino al 30 settembre) attesta un fatto notorio: «Ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell’eutanasia legale, per poter scegliere, in determinate condizioni, una morte opportuna invece che imposta nella sofferenza». È l’incipit della relazione alla proposta di legge d’iniziativa popolare in tema di «rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia», depositata nel 2013 e mai discussa in Parlamento.
Se così fosse, dovremmo allora trarne una conclusione: su quando e come morire, a decidere finora è stata una minoranza all’insegna dell’«io non voglio, dunque nessuno può». Una logica, questa, che trasforma il peccato in reato battendo sul tavolo il pugno guantato dal codice Rocco del 1930. Il referendum costringerebbe alla conta, svelando l’arcano. Così, chi finora si è barricato dietro la prudenza parlamentare («meglio non legiferare») è costretto a cambiare strategia: «meglio non votare». Nel 2005 fu vincente l’invito all’astensione, che impedì il raggiungimento del quorum di validità dei referendum in tema di procreazione assistita. Replicare sarebbe un azzardo perché, questa volta, il quesito sembra in grado di fare il pieno alle urne. Non resta, allora, che anticipare la strategia a quando la Corte costituzionale deciderà se voteremo o meno, convincendola a bocciare il referendum.
3. In questa cornice si collocano le dichiarazioni del Presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick (Avvenire, 21 agosto). Gli argomenti giuridici spesi meritano una replica, e non solo per l’autorevolezza dell’interlocutore. La ragione è di metodo: è solo nell’opposizione tra tesi diverse che avanza la conoscenza, purché razionalmente argomentate. Ben venga, dunque, la dialettica del dialogo, troppo spesso soppiantata dallo spettacolo delle chiacchiere (in inglese: talk show).
4. «Quesito sbagliato» è il titolo, sbagliato, della sua intervista. Un quesito referendario, infatti, non si può giudicare giusto o sbagliato, ma soltanto ammissibile o inammissibile. La Consulta a questo sarà chiamata, non a esaminare nel merito la normativa producibile dal referendum. L’art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953 è lapidaria: spetta alla Corte giudicare se il referendum richiesto sia ammissibile «ai sensi del comma secondo» dell’art. 75 Cost., che vieta l’abrogazione popolare di talune specifiche leggi. Nella contraddittoria giurisprudenza referendaria è certamente accaduto che sia stato anticipato, in sede di ammissibilità, un giudizio di legittimità sulla c.d. normativa di risulta, fino a bocciare il quesito perché possibile causa di una disciplina irragionevole.
Sono precedenti costituzionalmente censurabili, per almeno tre ragioni: 1) confondono – fino all’impropria sovrapposizione – due giudizi che hanno ritmi, regole processuali, finalità differenti; ; 2) raccontano di un sindacato prematuro e astratto – quasi profetico – su una normativa che potrebbe anche non vedere mai la luce, quando invece il giudizio di legittimità non è a oggetto ipotetico, svolgendosi sempre su disposizioni già in vigore, valutate nel loro significato applicato; 3) espongono la Corte all’accusa di negare arbitrariamente il diritto di voto (referendario), indebolendo la propria legittimazione. La metamorfosi del sindacato sul referendum è una patologia del sistema, perché l’ordinamento non prevede un giudizio di costituzionalità preventivo. Farà bene allora la Consulta a tenere separati i due piani.
5. Sostiene Flick che, con la vittoria dei sì nel referendum, «in sostanza si finisce per punire l’aiuto al suicidio (“meno grave”) e non l’omicidio del consenziente (che è “più grave”)». Sarebbe il caos normativo. La produzione continua di norme è sempre fonte di potenziali antinomie con quelle precedenti. L’ordinamento giuridico appresta strumenti per risolverle: l’interpretazione dei giudici; l’impugnazione della norma di dubbia costituzionalità; la sopravvenuta modifica legislativa. Rimedi che devono scattare nel momento applicativo della legge o alla luce di esso. Non prima, nella fase della produzione normativa (legislativa o referendaria).
Lo stesso procedimento referendario (legge n. 352 del 1970) prevede possibili rimedi a un temuto caos normativo, prevenendolo. Riconosce al legislatore la possibilità di intervenire sulla legge oggetto del quesito «prima della data dello svolgimento del referendum» (art. 39). Consente al Capo dello Stato, su richiesta del Governo, di ritardare l’entrata in vigore dell’abrogazione referendaria «per un termine non superiore a 60 giorni» dalla pubblicazione dei suoi esiti (art. 37, comma 3), concedendo altro tempo per approvare una legge o decreto legge in materia.
A rigore, dunque, l’argomento di Flick non gioca contro il referendum ma per una legge sull’eutanasia legale, sull’esempio di Belgio, Olanda e Spagna.
6. Infine, Flick è preoccupato di un referendum che, in buona misura, «depenalizza, diciamo pure liberalizza l’omicidio del consenziente». Come la Corte costituzionale ha circoscritto l’applicazione dell’art. 580 c.p., così il referendum fa con l’art. 579 c.p. Il reato di omicidio del consenziente, infatti, sopravvivrà a sanzionare il fatto se commesso contro un soggetto vulnerabile: minore o infermo di mente o il cui consenso sia stato estorto o carpito con inganno. Quanto all’accertamento del «consenso», varrà ciò che prevede la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento. Né è da escludersi un’estensione per via interpretativa delle procedure di accertamento introdotte dalla sent. n. 242/2019 sul “caso Cappato”.
Il suicidio è una libertà di fatto, non essendo punito nemmeno a titolo di reato tentato. Per alcuni, però, scegliere di morire con dignità è penalmente vietato: a loro non resta che un’eutanasia clandestina, se rifiutano l’accanimento terapeutico o la sedazione profonda. Il quesito, nella misura possibile per uno strumento abrogativo, ripristina un’eguaglianza negata. Legalizza una facoltà, rimessa alla libera scelta individuale.
7. In realtà – denuncia Flick – il referendum vuole «far valere una specifica visione della vita», attraverso lo strumento penale. È vero. L’intento dei promotori è rovesciare il paradigma del codice Rocco: dall’indisponibilità del diritto alla vita al principio di autodeterminazione in ordine alle scelte di “fine vita”. Si può essere o meno d’accordo: deciderà il voto. Ma sono argomenti di politica del diritto, estranei al giudizio cui è chiamata la Corte costituzionale. Sarà, il suo, un tornante impegnativo. Ecco perché l’annuale seminario “preventivo” ferrarese (www.amicuscuriae.it), si titolerà “La via referendaria al fine vita. Ammissibilità e normativa di risulta del quesito sull’art. 579 c.p.”. L’appuntamento è per venerdì 26 novembre. Il Presidente Flick è fin da ora invitato.
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