“Stavolta andrà tutto bene”. Così la street artist Laika immagina che Giulio Regeni abbia reagito alla notizia del caso di Patrick George Zaki. La scorsa notte a Roma in via Salaria, a pochi passi dell’Ambasciata d’Egitto, è apparsa l’ultima opera di Laika che ritrae Giulio Regeni, il giovane dottorando dell’università di Cambridge, ucciso all’inizio del 2016, che abbraccia lo studente arrestato in Egitto Zaki, con indosso una divisa da carcerato. Davanti alle due figure campeggia la parola Libertà scritta in lingua araba.

“‘Stavolta andrà tutto bene’ ha un doppio significato”, dice Laika. “Serve a rassicurare Patrick, ma soprattutto a mettere davanti alle proprie responsabilità il governo egiziano e la comunità internazionale. Non si può permettere che quanto accaduto a Giulio Regeni e a troppi altri, avvenga di nuovo. Stavolta deve andare tutto bene. Mi auguro che questa vicenda vada a finire bene e che Zaki venga liberato il prima possibile. Spero anche che, pur non essendo un cittadino italiano, il nostro paese possa vigilare su quanto sta accadendo. Vorrei che questo mio piccolo gesto fosse da stimolo ai media per accendere ancora di più i riflettori sulla vicenda di Zaki”. 

LA VICENDA – Patrick George Zaki, sarebbe stato “picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato su diverse questioni legate al suo lavoro e al suo attivismo”. Lo riferiscono i legali che lo hanno incontrato alla Eipr, Egyptian Initiative for Personal Rights, associazione cui Patrick fa capo spiegando che le violenze sarebbero avvenute nelle 24 ore dopo l’arresto. Lo studente 27enne stava svolgendo un master in Studi di genere dell’Università di Bologna, è stato arrestato dalle autorità egiziane appena rientrato in Egitto.

Zaki non è uno studente italiano ma la sua storia ricorda molto quella di Giulio Regeni, che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha da subito detto di voler monitorare con attenzione. L’Italia ha chiesto l’inserimento del caso all’interno del meccanismo di ‘monitoraggio processuale’ coordinato dalla delegazione Ue in loco che consente ai funzionari delle ambasciate Ue di monitorare l’evoluzione del processo e presenziare alle udienze. Roma continuerà a seguire il caso sia tramite il coordinamento con i partner che attraverso altri canali rilevanti.

L’APPELLO – Con l’arresto di Patrick George Zaki l’Egitto “mostra una volta di più la spietatezza della sua dittatura. Si tratta dell’ennesimo schiaffo che il nostro Paese riceve da un regime disumano e rappresenta un’ulteriore dimostrazione che l’Egitto non ha intenzione di collaborare con l’Italia per fare finalmente chiarezza sulla tragica fine di Giulio; e anzi si accanisce contro chiunque solidarizzi o si avvicini alla storia di Giulio Regeni”. Lo scrivono Adi, associazione dei dottorandi e dottori di ricerca in Italia, gli studenti del Master Gemma di Bologna che Patrick frequentava, Link Coordinamento Universitario e Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni. Un appello in cui si chiede verità non solo per Giulio, il ricercatore italiano torturato e ucciso nel 2016 al Cairo, ma anche per Patrick. “Uniamo la nostra voce a quella della famiglia Regeni nel chiedere al governo di inserire l’Egitto nella lista dei Paesi non sicuri e di richiamare l’ambasciatore italiano in Egitto per consultazioni”.

Intanto prosegue la mobilitazione di ong, società civile e comunità studentesca in favore di Patrick Zaki. E’ stato organizzato un presidio al Centro di documentazione scientifica sede dell’Istituto di studi su donne e di genere dell’Università di Granada, in Spagna, l’ateneo che coordina il master. Altre iniziative, a Bologna ma non solo, sono in programma da parte di Amnesty International.

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