Ha fatto squadra. Salvini ha fatto una campagna politicista, al di là delle idee che professa e che io avverso, ha fatto comizi sempre uguali, esaltando l’idea di dover liberare l’Emilia da un ipotetico giogo sovietico e totalitario. Non ha mai, o quasi, fatto vedere la candidata, chiarendo che delle sue qualità, di lei come campione di buona amministrazione gliene importava poco o niente. L’importante era che lui dicesse le cose che da 10 anni dice in Emilia, in Lucania, in Veneto o in Sicilia. C’è stata una competizione tra una campagna ideologica e globale, di Salvini, e del suo corpo ostentato come un’icona, e una campagna riformista e locale di Bonaccini. Per il Pd questa è un’indicazione fondamentale. Il mantra del populismo che esalta le paure, se contrastato con la consistenza del riformismo può sbattere la testa. Lo dicono i risultati di Bibbiano e del quartiere del Pilastro a Bologna, quello del citofono. Sicuramente poi c’è stata la forza della mobilitazione delle Sardine, l’idea, appunto, che il leader non fosse affatto solo, che una mobilitazione di massa lo circondasse e lo sospingesse, combattendo pigrizia e indifferenza. Una bellissima cosa. La storia non finirà a Bologna, ci saranno mesi difficili; per la scelta di quale rapporto intessere tra Pd e Cinque Stelle, con Italia Viva, per l’agenda di governo, per il percorso congressuale del movimento ora guidato da Crimi, per quello che forse potrebbe intraprendere il Pd, per il percorso della Legge elettorale e molto altro ancora. Non bisogna esaltarci, come dice Castagnetti, certo, ma neanche intristirsi dopo una vittoria; ma se non facessimo tesoro di quello che è successo in questa domenica, se non ne traessimo delle lezioni, meriteremmo di non vederne più di vittorie.